mercoledì 29 luglio 2020

Pietro Barca, La fabbrica dei lucchetti di Pollena Trocchia

POLLENA TROCCHIA – Non sono poche le famiglie che si sono potute formare grazie al lavoro offerto da quella che era la fabbrica dei lucchetti ubicata nel rione “Tartaglia” di Pollena: da ragazzino ho avuto modo di “conoscere” la ditta ALA perché spesso andavo a trovare Piero, compagno di banco dalla quarta elementare alla seconda superiore, nell’appartamento che la sua famiglia occupava all’interno dello stabilimento. Purtroppo, a fine anni Novanta, i proprietari della ditta ALA si trovarono in difficoltà e non riuscirono più a tenerla attiva, ed in occasione di un incontro tra dipendenti, proprietari e amministratori municipali svoltosi nell’aula consiliare del Comune di Pollena Trocchia ebbi modo, in qualità di corrispondente del settimanale “Metropolis”, di intervistare il signor Amedeo Letticini, comproprietario dell’azienda, che mi accennò le difficoltà dell’azienda a restare sul mercato a causa della spietata concorrenza delle aziende asiatiche. In seguito, la fabbrica chiuse e gli operai furono licenziati e dovettero cercare nuove alternative lavorative. Dopo un periodo di abbandono il fabbricato è stato ristrutturato e ha accolto un supermercato.
Nell’intervista che segue all’amico Pietro Barca (classe 1967) – che oggi lavora come dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia – ho voluto rievocare le vicende della fabbrica ALA che fanno parte della storia di Pollena Trocchia e fanno parte anche della mia adolescenza.
(Pietro Barca)
Piero, a che età sei arrivato a Pollena Trocchia?
Ricordo che arrivai verso i 7 anni, intorno al 1975. Pollena, allora, era una cittadina dove si potevano vivere i primi anni di vita in modo più tranquillo rispetto alla città di Frattamaggiore da dove provenivo. Non ho delle vere e proprie radici in una particolare zona in quanto sono nato a Caserta, ho vissuto inizialmente ad Avella, provincia di Avellino, dove ho frequentato l'asilo, e qualche anno a Frattamaggiore, paese di mia madre e dei miei zii. Comunque, il “vero inizio di vita” è stato a Pollena Trocchia, dalle Suore degli Angeli, dove ho conosciuto te, amico mio, ed è cominciata la mia vita scolastica. Le elementari e le medie, hanno contribuito a formare la mia persona e a farmi crescere in un ambiente, a mio parere, per niente ostile. Nel corso della vita scolastica non sono mancate delle ragazzate che è norma comunque di quella età. Fortunatamente, la tua amicizia mi ha indirizzato al dialogo, alla partecipazione, alla comprensione fino alle superiori. Eravamo ragazzi ed avere un amico che ti capisce, ti ascolta e ti segue è un tesoro non facile da trovare. Pollena Trocchia per quanto fosse tranquilla non era esente da casi di droga e un nostro caro amico, come ricorderai, morì di overdose, e poi, anche allora, si registravano certi reati, come, ad esempio, i furti nelle abitazioni ed altro. Quindi si rischiava di avere amicizie alquanto dannose per la crescita con il rischio di trovarsi in brutti giri dove non potevi più tornare indietro. Per fortuna non è stato il caso nostro e di tanti ragazzi pollenesi che hanno trovato la giusta strada nella vita.

Dove abitavi e qual era il lavoro di tuo padre?
Abitavo in un appartamento in un'azienda che produceva lucchetti, la ditta “ALA”.  Una fabbrica che oltretutto ha dato anche lavoro a mio padre. Lui era una persona di fiducia dell'azienda in quanto ex carabiniere. Oltretutto si occupava del magazzino per la spedizione dei lucchetti in Italia e nel mondo. Era inizialmente fiancheggiato dal signor Giacomo, che lo aiutò a capire il sistema come funzionasse, poi andò egregiamente da solo vista la sua velocità nell'apprendimento. Mio padre allora aveva solo la licenza elementare. Si iscrisse alla scuola serale. Le lezioni si svolgevano presso la scuola media “Raffaele Viviani”. Era emozionato dallo studio, le sue materie preferite erano la storia e il diritto civile. Avendo fatto il carabiniere rileggere la Costituzione era per lui un ritorno al passato. Non riuscirà ad andare oltre la licenza media, ma il suo impegno lo porterà a fare, in pensione, il vicesindaco nel suo paese natale, Gratteri, in provincia di Palermo.  

Cosa ricordi in particolare della fabbrica ALA?
Ho tanti ricordi di quella ditta. Sin dal primo istante ho considerato, non solo l'appartamento in cui vivevo, ma anche ciò che mi circondava, tutto mio. La vastità di quell'ambiente, per me che ero piccolo, era un mondo da scoprire. La ditta cresceva e io con lei. Gli ambienti che venivano aggiunti non erano un mistero per me. Uffici nuovi e reparti dell'officina in via di espansione mi appartenevano. Non ero il proprietario ma fu proprio Antonio Letticino, il fondatore dell’azienda, a far sì che in famiglia amassimo quell'azienda. L'unica pecca era che più si allargava l'azienda più si restringeva il bel giardino che era situato sul retro.

(l'ex fabbrica ALA vista da via Apicella)


Cosa ti ricordi del giardino?
Era un piccolo paradiso! Ero sempre lì, dopo lo studio, a giocare con i tanti cani che abbiamo posseduto. C'era anche una falciatrice che utilizzavo molte volte per tagliare l'erba e sempre con tanta voglia di fare e di sfogare quell’energia che, ahimè, adesso vorrei tanto avere. 

(l'ex fabbrica ALA vista da via Sant'Antonio)


Ricordo che c’era anche un grande terrazzo…
Sì, in cima all'azienda: era stupendo! L'altezza e la posizione davano per un lato sul meraviglioso panorama del golfo di Napoli e per un altro lato si poteva ammirare il monte Somma con la cima del Vesuvio. Ricordo che ignorando il pericolo mi sporgevo tenendomi al bordo della ringhiera e senza stancarmi osservavo tutto ciò che c’era attorno perché era stupendo.
(l'ingresso principale dell'ex fabbrica ALA)

Qual è il tuo ricordo personale del signor Antonio Letticino, fondatore della fabbrica ALA?
Ho un bellissimo ricordo di don Antonio, così lo chiamavamo, anche perché il don, espressione tipicamente napoletana, è un titolo per le persone che meritano rispetto. La prima volta che lo vedemmo fu quando andai con mia madre a chiedere il lavoro per mio padre. Erroneamente entrammo dal cancello del giardino e non da quello principale e lui era lì tra le sue bellissime rose che curava con molta dedizione. Giustamente, per quello che faceva, non aveva giacca e cravatta, quindi mia madre lo scambiò per un addetto al giardino chiedendogli di poter parlare con il proprietario della ditta, perché aveva letto l'annuncio sul giornale riguardante l'assunzione di una persona di fiducia, qualità che mio padre possedeva pienamente. Lui fu gentilissimo ad accompagnarci fino agli uffici e a presentarci al ragioniere e fu proprio il ragioniere a dirci chi fosse il proprietario. Rimanemmo di stucco. L'umiltà di Don Antonio era insuperabile.  Nel tempo lo conobbi meglio e capii che uomini come lui se ne conoscono pochi nella vita. Ogni volta che rientravo da scuola e lo incontravo, mi salutava, come se fossi stato uno di famiglia, chiedendomi come fosse andata la giornata. Nel periodo in cui frequentavo all'Università la facoltà di Ingegneria, purtroppo mai conclusa, mi chiamava ingegnere ed io sorridevo.  Quando morì ci rimasi molto male. Era sparita una figura che rappresentava la mia infanzia, la mia crescita e lasciò dentro di me un grande vuoto.
(l'ex fabbrica ALA durante i recenti lavori di ristrutturazione)

Piero, anche tu hai avuto modo di lavorare in fabbrica. Cosa ricordi, in particolare, di quell'esperienza e dei compagni di lavoro?
Nel lontano maggio del 1988 fino ad aprile 1989 venni impiegato nell'azienda “ALA” in base all'allora art. 23 che permetteva di assumere giovani ricevendo agevolazioni fiscali. Fummo un bel po' di noi, giovani alla prima esperienza lavorativa, ma solo io ero quello che conosceva ogni ambiente dell'azienda e il più conosciuto dagli operai. Ognuno di noi era alla sua postazione di lavoro che fortunatamente, per prassi, doveva cambiare giorno per giorno. Lì ho scoperto di non essere amante dei lavori monotoni. Essere 8 ore su una macchina e ripetere sempre le stesse azioni era terribilmente noioso. Preferivo i lavori costruttivi. Preferivo leggere i progetti disegnati dall'ingegnere per poi arrivare al prodotto finito. Questo percorso competeva al capo officina che seguivo appena potevo. Gli operai esperti che ci circondavano, inizialmente, scherzavano con noi per la nostra inesperienza, ma successivamente, accorgendosi che eravamo una risorsa in più per il gruppo, ci hanno integrato e insegnato a risolvere i problemi sulle macchine o di vario genere. Comunque, fu un anno di esperienza di vita. Fare l'operaio è un lavoro duro se fatto seriamente e per tutta la vita. Un lavoro dove l'esperienza conta. Nessuno di noi fu confermato nell'azienda e tutti e quattro prendemmo strade diverse, ma contribuì a darci quello stimolo che, credo, ad oggi, abbia aiutato la nostra consapevolezza nel lavoro.

Oggi, ripensando alla ditta ALA, qual è l'aspetto che più ti lascia l'amaro in bocca?
Quando ho saputo che la ditta stava licenziando per motivi commerciali. Il mercato estero aveva invaso l'economia italiana portando con sé prodotti di scarso livello ma molto competitivi per il prezzo. Tra questi prodotti c'erano anche i lucchetti e ferramenta varia. Il lucchetto artigianale italiano, quindi quello fabbricato nella ditta “ALA”, era un prodotto affidabile, ma molto più costoso. Di conseguenza iniziò una lenta decadenza. Probabilmente ci saranno stati tanti altri motivi del declino della ditta, che io non conosco, ma credo che sia iniziata con il confronto con i prodotti esteri. Conoscendo i proprietari penso che siano arrivati alle strette  per arrivare alla chiusura. Mi auguro che abbiano aperto un'altra attività in altre regioni, ma non ne sono certo. Le mie considerazioni giungono alla conclusione che sono tutti stati vittima del commercio aggressivo che ha invaso l'Italia e lo Stato non ha potuto, in quel momento, sopperire alle varie richieste di aiuto delle migliaia di aziende in difficoltà. Non meritavano gli operai di essere licenziati, dopo tanti anni di attività, ma non voglio entrare in merito della questione perché sono state lotte molto lunghe tra la direzione e le maestranze. Altro dissapore è stato il vedere il fabbricato deteriorarsi: ogni volta che passavo di li, per rivedere, da fuori, l'appartamento dove avevo vissuto con la mia famiglia, notavo dei segni di decadimento. La trasformazione dell'edificio in un supermercato mi ha rallegrato per il solo fatto che hanno dovuto ristrutturare la ex ditta “ALA” lasciandola alquanto simile alla precedente.
(a cura di Carlo Silvano)
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Le foto presente in questo articolo intervista sono di Pietro Barca.
Carlo Silvano è il curatore di questo blog ed è autore di diversi libri. Per ulteriori informazioni cliccare su Libri di Carlo Silvano



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