sabato 20 novembre 2021

Angela Rosauro, Vi presento la bambina della masseria Rutiglia

 

(copertina seconda edizione)

  Recentemente ho pubblicato la seconda edizione del romanzo breve intitolato "La bambina della masseria Rutiglia", ambientato durante il Secondo conflitto mondiale nei comuni vesuviani di Pollena Trocchia e Cercola.

 Rispetto alla prima edizione (che resta in commercio a disposizione dei lettori), la nuova edizione è arricchita con una prefazione scritta dalla professoressa Angela Rosauro (Dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Pollena Trocchia), ha un nuovo capitolo e una nuova veste tipografica.

La protagonista di questo breve romanzo è una bimba curiosa: i suoi occhi si soffermano sulle immagini familiari e della propria comunità di appartenenza, che rievocano i momenti più importanti della propria infanzia vissuta nella campagna vesuviana, durante gli anni più cruenti del conflitto mondiale, con le rappresaglie dei nazisti, l’affondamento nel porto di Napoli della motonave “Caterina Costa”, l’eruzione del Vesuvio del 1944 e la sciagura ferroviaria verificatasi nella stazione di Cercola il 21 dicembre del 1941.

Le pagine di questo volume non riportano una storia biografica, bensì aneddoti della vita della protagonista, Carmelina, e anche di alcuni personaggi locali, che mi hanno ispirato e che ho voluto dar loro una dimensione concreta, in un passato che è arrivato a noi solo attraverso i ricordi.

Qui  di seguito propongo la prefazione alla seconda edizione a firma della prof. Angela Rosauro.

 

Prefazione

di Angela Rosauro1



Si cammina nella vita con la mano nella mano di una persona; poi, a un tratto, questa persona scompare là dove non c’è un dove, e tu stesso ti fermi davanti a quell’abisso e ci guardi dentro. E io ci ho guardato” (da “Guerra e pace” di Lev Tolstoj).


E Carlo Silvano ha affondato lo sguardo nello spazio inerte di quella inappellabile distanza accettandone la sfida, e con la mitezza che lo contraddistingue ha saputo riconoscere quelle orme profonde, impresse nella memoria lasciando loro il compito di condurlo e di condurci lungo il tragitto: è appena l’alba e Carmelina s’incammina lungo il viottolo che la condurrà a casa, con il suo fiasco di latte, intenta a non inciampare nelle tante buche e pozzanghere che le si parano innanzi. Questa è l’immagine che ci offre l’autore nell’incipit e che sussume motivazioni, sentimenti e significati di questo lavoro: l’alba, quel breve momento in cui il cielo scolora e annuncia il nuovo giorno, è la cornice temporale ideale ad accompagnare il cammino della piccola protagonista. Il viottolo e il paesaggio che attraversa così ben descritti sono arricchiti di particolari che ne vivacizzano l’andatura lasciandone trasparire le bellezze e le difficoltà: le buche alle quali porre attenzione, ma anche i dolci frutti e le colorate corolle dei fiori non sono certo meri orpelli, quanto piuttosto elementi animati che la bambina e poi donna incontra, evita, raccoglie, vive lungo il corso della vita. Il sentimento che pervade lo sguardo dell’autore è il senso di gratitudine filiale per quel latte, segno inequivocabile di nutrimento e vita, trasportato dalla bimba nel ritorno a casa, metafora di un sentimento materno di protezione e cura, di cui egli ne è stato amorevole testimone. Tutto il racconto è un susseguirsi d’immagini e ricordi, dove le coordinate spazio-temporali si distanziano pur conservando perimetri riconoscibili: la masseria assieme a poche altre ormai, sono ancora lì con le loro strutture tipiche che ci raccontano di un tempo scandito dal susseguirsi delle stagioni che disciplinavano il lavoro dei campi; sono lì, testimoni di una vita sociale molto lontana dai modelli post moderni in cui le generazioni successive si sono trasformate; vita semplice, di persone semplici, riunite intorno al nucleo familiare dove ogni elemento svolgeva il proprio ruolo e mansione in funzione della sopravvivenza e crescita della famiglia; sono lì, qualcuna, tra le tante ormai aggredite dal tempo e dall’incuria, ancora presenta le ferite di una guerra terribile che raggiunse anche i luoghi più reconditi senza risparmiare alcunché, e soprattutto lasciando ferite ben più profonde negli animi di coloro che ebbero la sventura di viverla. 

 

(copertina dalle prima edizione)

Carmelina è una bambina di guerra come le tante delle guerre lontane dei nostri tempi che ci commuovono per la loro indifesa innocenza violata dalle brutture e dalle violenze. Carmelina è una di quelle: bambina costretta a diventare grande prima del tempo, a fare i conti con il pericolo e la morte prima ancora di conoscere la vita o meglio avendo conosciuto solo quella, quella è la sua vita. Impara presto Carmelina come tutti i bambini di guerra, impara che c’è un prima e c’è un dopo; c’era la scuola con la maestra e le sue dolci caramelle di more, c’era il pane impastato dalla mamma che bastava tutta la settimana, c’era Luigi che per finta spaventava le ragazzine e poi, pur nella povertà, quella semplice vita ad un tratto era sparita, tutto era cambiato. Era arrivata la guerra, non quella ascoltata per radio o dalla voce di qualche adulto che “capiva”, era arrivata la guerra quella vera, quella dei morti e della fame che non fa sconti a nessuno. Il dopo di Carmelina duro e triste come quello di tanti altri, era fatto di fame, quella che con i suoi morsi non la lasciava dormire, di fatica per raccogliere tutti i giorni rape nella terra gelida di quell’inverno rigido, di nostalgia per quei giorni allegri di scuola che ora apparivano lontani come sogni. Ora la sua vita è questo: portare il latte a casa al più presto, mangiare, riscaldarsi, sopravvivere…

“…lei sapeva già cosa l’attendeva: appena sarebbe entrata in casa avrebbe scorso sua madre intenta a lavorare con solerzia stando seduta davanti alla macchina da cucire, mentre suo padre con lo sguardo preoccupato, stava in piedi, davanti alla finestra a scrutare il cielo che prometteva una giornata di pioggia e anche una giornata senza lavoro e senza paga… le sue sorelle che si sarebbero alzate tutte dai loro giacigli per andarle incontro, per bollire il latte e fare colazione stando attorno al povero tavolo l’una stretta all’altra… La madre, intanto, avrebbe continuato a lavorare con gli occhi fissi sull’ago e sul cotone e il padre a scrutare e a interrogare un cielo che non prometteva nulla di buono…”.

Con poche frasi, leggere pennellate l’autore ci prende per mano e ci lascia entrare con la piccola Carmelina nella sua umile casa: possiamo vedere le mura disadorne appena illuminate dalla luce fredda di un’alba piovosa, possiamo sentire il freddo di quell’inverno del 1943 che avvolge e intirizzisce l’intera famigliola, possiamo ascoltare il fragore tonante del cannone antiaereo, emblema di una guerra ancora lunga da finire, possiamo avvertire la silenziosa dignità di un popolo che attraverserà la miseria e la disumanità di una guerra orribile per consegnare ai suoi figli il messaggio della speranza della pace fra gli uomini. “I bambini che hanno visto la guerra sono l’unica speranza di pace” (Karol Wojtyla) e la bambina della masseria Rutiglia ancora oggi ci parla e ci rammenta il nostro compito irrinunciabile di sentinelle della memoria perché nessun bambino, nessuno più abbia da sopportare tali atrocità.



Pollena Trocchia,

ottobre 2021



1 Dirigente dell’Istituto comprensivo di Pollena Trocchia (Napoli).

 

Per informazioni sulle due edizioni del romanzo breve "La bambina della masseria Rutiglia" cliccare su  Libri di Carlo Silvano