mercoledì 17 luglio 2024

La prima processione con la statua di san Giacomo apostolo per le vie di Pollena

 

La prima processione

con la statua di san Giacomo apostolo

per le vie di Pollena

Nel lontano 1733, la comunità parrocchiale di Pollena visse un evento di grande importanza spirituale e sociale: la prima processione della statua di San Giacomo Apostolo che fu decisa nel corso di una riunione svoltasi il 22 luglio di quell’anno con le massime autorità cittadine e religiose. La processione, che si svolse sotto la guida dell’allora parroco don Agostino Imperato, segnò un momento di profonda devozione e unità per gli abitanti del casale. 

In quel periodo la comunità contava un ristretto numero di fedeli: secondo un censimento effettuato dallo stesso don Imperato, in quell’anno, infatti, la comunità di Pollena contava 350 uomini, 395 donne e 260 adolescenti tra maschi e femmine. Un totale di 1005 anime che vivevano quotidianamente la loro fede, tra le sfide e le speranze dell’epoca.

La Processione

La processione della statua di san Giacomo apostolo fu organizzata come un atto di devozione e di affidamento alla protezione del santo. La scelta di san Giacomo non fu casuale: egli è infatti una figura di grande rilevanza nel cristianesimo, uno dei dodici apostoli di Gesù e il primo tra loro a subire il martirio. 

La processione si snodava per le vie del casale, con la partecipazione entusiasta di tutta la comunità. La statua di san Giacomo veniva portata in spalla dai fedeli, mentre canti e preghiere risuonavano nell’aria. Questo evento non solo rafforzava la fede individuale, ma contribuiva anche a consolidare i legami comunitari, generando un senso di appartenenza e di solidarietà tra gli abitanti.

La figura di san Giacomo apostolo il maggiore

San Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni evangelista, è una figura centrale nella storia del cristianesimo. Secondo la tradizione, dopo la resurrezione di Cristo, Giacomo predicò in Spagna, tornando poi a Gerusalemme dove fu martirizzato per ordine di Erode Agrippa nel 44 d.C. Le sue reliquie furono, secondo la tradizione, trasportate a Santiago di Compostela, e sono divenute meta di pellegrinaggio per milioni di fedeli nel corso dei secoli.

L’importanza di un Patrono

Avere come patrono un apostolo come san Giacomo è di grande significato spirituale per una comunità parrocchiale. Innanzitutto, san Giacomo rappresenta il coraggio e la fede incrollabile, essendo stato il primo apostolo a dare la vita per la sua fede. Questo offre ai fedeli un esempio potente di dedizione e sacrificio. 

Inoltre, san Giacomo è anche il patrono dei pellegrini. La sua vita e il suo martirio ricordano ai fedeli che la vita cristiana è un pellegrinaggio, un cammino che richiede perseveranza, fede e la capacità di superare le avversità. La figura di san Giacomo ispira i parrocchiani a vivere la loro fede in maniera attiva, partecipando alla vita della comunità e sostenendosi a vicenda nelle difficoltà.

Unità e solidarietà

La processione del 1733 fu più di una semplice manifestazione religiosa; fu un momento di aggregazione sociale e di rafforzamento dei valori comunitari. Le celebrazioni in onore di san Giacomo dovrebbero generare un’occasione per i membri della comunità di incontrarsi, di condividere le proprie esperienze e di rafforzare i legami reciproci. 

In un’epoca in cui la vita quotidiana è segnata da molte difficoltà, la processione può anche oggi rappresentare una fonte di speranza e di conforto. San Giacomo, con il suo esempio di fede e di resistenza, offre, allora come oggi, un modello di come affrontare le sfide della vita con coraggio e fiducia.

 Conclusione

La prima processione della statua di san Giacomo apostolo nel casale di Pollena nel 1733 è un evento storico che continua a vivere nella comunità. Rappresenta un esempio di come la fede e la devozione possano unire le persone, offrendo loro forza e ispirazione. San Giacomo, come patrono, continua a guidare e a proteggere i fedeli, ricordando loro l’importanza della perseveranza, della solidarietà e della fede.

___________________ 

Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul collegamento:  Libri di Carlo Silvano 





sabato 13 luglio 2024

Nota sul curatore del blog della comunità di Pollena Trocchia

 

Carlo Silvano è nato a Cercola (Napoli) nel 1966 e dal 2005 vive a Villorba (Treviso) con la moglie Adelaide e i tre figli. Si è formato nell’ambito dell’Azione cattolica ricoprendo la responsabilità di presidente dell'Associazione presso la parrocchia di Pollena (settembre 1985 - gennaio 1989) e della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) ricoprendo la responsabilità di presidente presso il gruppo di Portici "Pier Giorgio Frassati" (1992 - 1994). Laureato in sociologia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con una tesi su “Il controllo politico delle Forze armate”. Per circa dieci anni (2013 – 2024) è stato catechista nella propria parrocchia di Villorba, ed è fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Nizza italiana” (istituita il 18 luglio 2011).

Tra il 1990 e il 1998 ha pubblicato numerosi articoli di cronaca e interviste in vari settimanali (“Enne”, “Metropolis” e “Nuova stagione”) e quotidiani napoletani (“La città” e “Il giornale di Napoli”); tra il 2002 e il 2003 ha pubblicato articoli di cultura e interviste a teologi per il settimanale “La vita del popolo” di Treviso. In "Campania sacra" ha pubblicato una Nota sul card. Sisto Riario Sforza e la piaga dell'usura a Napoli (vol. 29, anno 1998, pp. 315-326) ed un'altra Nota nella rivista Etica per le professioni su "Il selezionatore aziendale. Scegliere nel rispetto della persona" (anno 2001, vol. 1, pp. 97-102).

Ha pubblicato i volumi:

La genesi della povertà. La piaga dell’usura”, Ogm editore 1994;

La comunità di Pollena dal 1760 al 1819. Note di storia sociale e religiosa”, Ogm editore 1998;

Cristiani e musulmani. Costruire il dialogo partendo dai fatti di borgo Venezia di Treviso”, ed. del Noce 2003;

Cristianesimo Chiesa Teologia”, ed. del Noce 2005;

Autorità e responsabilità nella Chiesa cattolica”, ed. del Noce 2006;

Un lavoratore di troppo. Storie di mobbing nella Marca trevigiana”, con Agostino La Rana, ed. del Noce 2008;

Quale primavera per i Figli della Vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d’Italia”, Ogm editore 2008;

L’onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio”, ed. del Noce 2014;

I miei amici”, con altri, ed. del Noce 2014;

Gente di Villorba”, Studio editoriale Carlo Silvano 2015;

Esperienze di un editore. Intervista ad Armando Fiscon”, ed. del Noce 2015;

Il prete visto dai giovani. Indagine tra 521 studenti delle scuole superiori di Treviso”, ed. del Noce 2016;

Il boiaro”, edizione Youcanprint 2019;

Liberi reclusi. Storie di minori detenuti”, edizione Youcanprint 2019;

Breve storia di Nizza e di altri territori italofoni”, edizione Youcanprint 2019;

Voci villorbesi”, ed. Youcanprint 2019;

I miei genitori”, ed. Youcanprint 2020;

Il bambino e l’avvoltoio e altri racconti”, ed. Youcanprint 2020;

Le arti marziali del Karate e del Ju Jitsu a Villorba”, ed. Youcanprint 2020;

La bambina della masseria Rutiglia”, ed. Youcanprint 2021;

Una ragazza da amare”, edizione Youcanprint 2022;

Amici e compagni di strada. La chiesa domestica di don Olivo Bolzon e di Marisa Restello”, ed. Youcanprint 2022;

Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano”, con Pietro Zardo, ed. Youcanprint 2022;

I crociati di Vidor”, racconto, ed. Youcanprint 2023;

Memento Mori”, con Giancarlo e Daniela Grasso, ed. Youcanprint 2023;

Non ero così e volevo crescere onesta. L’impegno della sen. Lina Merlin contro lo sfruttamento della prostituzione”, edizione Youcanprint 2024;

"I sette misteri del Santo Rosario", edizione Youcanprint 2024.

Dirige le collane editoriali “Questioni di identità” e “Quaderni di studi sociali e storici villorbesi”.

Maria di Nazaret è la Madre del Creatore

 

Maria di Nazaret

è la Madre del Creatore (1)

Maria di Nazaret, la Madre del Creatore, occupa un posto speciale nel cuore della cristianità. La sua figura incarna l’umiltà, la fede e la dedizione. Riflettere sulla sua esistenza terrena e sul suo ruolo nella vita di Gesù, ci permette di comprendere meglio la grandezza di Dio e la meraviglia della creazione.

Nel Santo Rosario, Maria è venerata come Madre del Creatore. Questo titolo non solo onora la sua maternità divina, ma la colloca anche davanti alla vastità della creazione, descritta con splendore nei primi capitoli della Genesi. In Genesi 2,1-4, leggiamo:

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo...

Lo stupore di Maria

Immaginiamo per un momento Maria, una ragazza di Nazaret, umile e devota, contemplare queste parole. Il suo cuore puro e la sua mente aperta sono perfetti per la piena comprensione spirituale della creazione di Dio. Lo stupore di Maria davanti alla grandezza dell’universo deve essere stato immenso. Come ogni madre, Maria avrà sicuramente guardato il suo Figlio con ammirazione e amore. Tuttavia, nel suo caso, il Figlio era anche il Creatore dell’universo, colui che aveva dato vita alle stelle, ai mari e a ogni creatura vivente.

Maria, conoscendo le Sacre Scritture, avrebbe percepito la portata del miracolo che stava vivendo. Ella, una semplice serva del Signore, era stata scelta per portare in grembo il Verbo incarnato, colui che, come seconda Persona della Santissima Trinità, aveva plasmato l’universo con la sua parola. Questo stupore non era solo intellettuale, ma profondamente spirituale, un misto di meraviglia, umiltà e gratitudine. 


 La gratitudine verso Dio

La gratitudine di Maria verso Dio è palpabile in ogni momento della sua vita, ma trova una delle sue espressioni più pure nel Magnificat (Luca 1,46-55). In questo canto di lode, Maria esprime il suo ringraziamento per le grandi cose che Dio ha fatto per lei e per tutto il suo popolo:

L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome…”.

Le parole di Maria nel Magnificat riflettono la sua consapevolezza del ruolo straordinario che Dio le ha affidato. Ella riconosce la propria piccolezza e, allo stesso tempo, l’immensità della grazia divina che si è riversata su di lei. La gratitudine di Maria non è solo per i doni ricevuti, ma per la possibilità di essere parte del grandioso disegno di salvezza di Dio.

Maria modello di fede

Maria di Nazaret è un modello incomparabile di fede e umiltà. La sua vita è un costante invito a contemplare la grandezza di Dio e a rispondere con un cuore grato e umile. Guardando a Maria, possiamo imparare a riconoscere la bellezza della creazione e la bontà del Creatore. La sua gratitudine ci ispira a ringraziare Dio per le meraviglie del mondo e per il dono della vita stessa.

In un mondo spesso distratto e disattento alle meraviglie della creazione, Maria ci insegna a fermarci, a contemplare e a ringraziare. La sua vita ci sprona a vivere con stupore e gratitudine, riconoscendo la mano di Dio in ogni cosa. Come Maria, possiamo imparare a vedere la grandezza dell’universo e a rispondere con un cuore pieno di lode e ringraziamento.

Conclusione

Maria di Nazaret, Madre del Creatore, ci offre un esempio sublime di come vivere la nostra fede. Il suo stupore davanti alla grandezza della creazione e la sua profonda gratitudine verso Dio ci ricordano che siamo parte di un disegno divino molto più grande di noi. Seguendo il suo esempio, possiamo avvicinarci a Dio con umiltà e riconoscenza, pronti a riconoscere e a celebrare le meraviglie del suo amore e della sua creazione. 

__________________

(1) Questo brano è tratto dal volume “I sette misteri del Santo Rosario”, ed. Youcanprint. Per ulteriori informazioni sul libro cliccare sul collegamento che segue: I sette misteri del Santo Rosario

domenica 5 maggio 2024

Diario partenopeo, Appunti di viaggio di un quindicenne trevigiano

 

 

«Il legame tra una persona e un podere si può anche instaurare attraverso il lavoro e l’impegno, ed è allora che può effettivamente assumere una profonda dimensione e non solo affettiva e di appartenenza, ma direi quasi spirituale. Questo tipo di connessione si sviluppa grazie a una combinazione di fattori emotivi, sensoriali e esperienziali, che culminano nell’identificazione dell’individuo con quel specifico luogo. Quando una persona si dedica a compiti, come la potatura di un vigneto, e trascorre del tempo immersa in quel paesaggio, si crea una sorta di intimità con il podere stesso. Attraverso il lavoro manuale, si stabilisce un contatto fisico con la terra, con le erbe, con gli alberi e con gli elementi naturali circostanti. Questa interazione può essere molto gratificante, poiché si diventa parte attiva del ciclo vitale di quelle piante e si sperimenta un senso di realizzazione nel vedere il proprio lavoro dare i suoi frutti nel corso del tempo».


Questo brano tratto dal volume “Diario partenopeo” (pag. 9), di Giuseppe Tranchese, offre una visione profonda e riflessiva sull’importanza del legame tra l’essere umano e la terra che coltiva, evidenziando come questo legame vada oltre il semplice aspetto materiale per assumere una dimensione quasi spirituale.

La connessione tra una persona e il podere non è solo di natura affettiva o di appartenenza territoriale, ma si trasforma in qualcosa di più profondo e significativo quando viene alimentata dall’impegno e dal lavoro. Attraverso l’investimento di tempo e sforzo nel lavorare la terra, l’individuo sviluppa un legame intimo con il paesaggio circostante e con gli elementi naturali che lo compongono.

La pratica del lavoro manuale, come la potatura di un vigneto, rappresenta un momento di intimità con la terra stessa, dove il contatto fisico con le piante e gli elementi naturali circostanti permette all’essere umano di sentirsi parte integrante del ciclo vitale che lo circonda. Questa interazione non solo porta gratificazione personale, ma anche un senso di realizzazione nel vedere i frutti del proprio lavoro manifestarsi nel corso del tempo.

In questo modo, il lavoro diventa non solo un mezzo per soddisfare bisogni materiali, ma anche un veicolo per stabilire una connessione profonda con la natura e con il proprio ambiente, arricchendo la vita dell’individuo non solo a livello pratico, ma anche emotivo e spirituale.

Per informazioni e per reperire il libro, cliccare su  Diario partenopeo di Giuseppe Tranchese

lunedì 22 aprile 2024

Pollena Trocchia - Nessuno aveva paura di Luigi...

Nessuno aveva paura di Luigi...

Le bambine del borgo erano felici di averla come maestra e di buon mattino, anche con la pioggerellina e col freddo che non facevano alcuna fatica a passare attraverso i loro poveri vestiti per posarsi sulla pelle di corpicini che mai erano stati floridi, si sarebbero fermate più tempo a raccogliere fiori dal ciglio della strada oppure more a ottobre o, ancora, nespole a dicembre da un albero che aveva i rami che cascavano sulla pubblica via, ma capitava, e anche spesso, che da dietro un rovo o da un possente tronco di pioppo apparisse all’improvviso Luigi, un giovanotto del villaggio che andava in giro sempre scalzo, e che lanciava grida ed emetteva urla indescrivibili: i bambini, allora, si davano alla fuga. I più piccoli si spaventavano e correvano nella stessa direzione dei più grandi, ma questi ultimi fingevano solo di essere terrorizzati perché sapevano che Luigi non voleva e non era capace di fare del male a nessuno, e anche perché questo ragazzone meritava rispetto: non sapeva parlare, non era mai andato a scuola e aveva una sorella, semplice e buona, che piangeva ogni volta che qualcuno prendeva in giro suo fratello. Loro, i bambini, non volevano però che lei piangesse e allora evitavano di essere sgarbati con quel giovanotto incapace di parlare. Col passare degli anni Luigi sarebbe diventato adulto e col trascorrere del tempo sarebbe calato il numero delle persone che si divertivano a prenderlo in giro e a trattarlo male: con la sua infermità si sarebbe guadagnato la stima di tutto il paese, perché – e nessuno ha mai capito come facesse – riusciva a sapere chi fosse morto al semplice suono delle campane e a recarsi al funerale partecipando, e calzando delle scarpe solo per questo genere di occasioni, al corteo funebre che partiva dalla casa del defunto per arrivare in chiesa e dalla chiesa al camposanto. Luigi, con le sue scarpe sempre lucidate di un nero vivo, se ne stava in fondo al corteo con la sua semplicità e riservatezza, e anche la guardia municipale lo rispettava salutandolo con serietà e con un leggero inchino del capo. A Luigi non importava chi fosse il defunto: benestanti o poveri, persone conosciute o meno, giovani o anziani, buone o cattive che fossero state in vita, tutti quelli che in paese morivano ricevevano il suo commosso omaggio”. (tratto da “La bambina della masseria Rutiglia”, ed. Youcanprint)


La figura di Luigi, descritta in questo brano tratto da “La bambina della masseria Rutiglia”, suscita diverse riflessioni sulla natura umana, sull’accettazione e sulla compassione. 

Innanzitutto, emerge la capacità umana di giudicare superficialmente gli altri in base alle loro apparenze. Gli abitanti del borgo di San Gennariello inizialmente reagiscono con paura e scherno di fronte a Luigi, il giovane con difficoltà comunicative e comportamenti imprevedibili. Tuttavia, la loro percezione cambia nel tempo, trasformando la paura in rispetto e ammirazione. Questo dimostra quanto sia importante guardare oltre le apparenze e comprendere la vera essenza delle persone. 

Luigi rappresenta anche l’inclusione sociale e l’importanza della comunità nel sostenere i suoi membri più vulnerabili. Nonostante le sue differenze e le limitazioni comunicative, Luigi viene accettato e rispettato dagli abitanti del paese. La sua presenza al corteo funebre di ogni defunto, con le scarpe lucidate e il suo silenzioso omaggio, sottolinea il suo ruolo di membro rispettato e integrato nella comunità. Questo evidenzia la capacità umana di superare le barriere e di costruire legami di solidarietà e comprensione reciproca. 

Inoltre, la figura di Luigi invita a riflettere sull’importanza della diversità e della fragilità umana. Nonostante le sue difficoltà, Luigi possiede una sensibilità e una percezione straordinarie, in grado di cogliere i segnali del mondo che lo circonda in modo unico. Il suo dono di riconoscere la morte al suono delle campane sottolinea la complessità e la ricchezza delle diverse prospettive umane. Ciò suggerisce che ogni individuo, indipendentemente dalle sue capacità o limitazioni, possiede un valore intrinseco e contribuisce in modo unico alla ricchezza della comunità. 

Infine, la storia di Luigi ci ricorda l’importanza della gentilezza e della compassione nell’interazione umana. I bambini del borgo evitano di ferire i sentimenti di Luigi e di sua sorella, dimostrando un senso di empatia e rispetto verso di loro. Questo ci ricorda che anche le azioni più piccole possono avere un impatto significativo sul benessere degli altri e sulla costruzione di relazioni basate sulla gentilezza e sulla solidarietà. 

In conclusione, la figura di Luigi ci offre preziose lezioni sull’accettazione, sull’inclusione e sulla compassione, invitandoci a riflettere sulla natura umana e sulle nostre relazioni con gli altri membri della comunità.

Per informazioni e per reperire il volume cliccare sul seguente collegamento: La bambina della masseria Rutiglia di Carlo Silvano

 

 

domenica 21 aprile 2024

Franz Kafka e la sua capacità di abbracciare i propri limiti

 

Ancora oggi Franz Kafka (1883 - 1924) continua a esercitare un’influenza profonda e intrigante nel panorama culturale contemporaneo. Già presso la biblioteca civica "Don Lorenzo Milani" di Pollena Trocchia e alle scuole superiori ebbi modo di conoscere e apprezzare le opere di questo famoso scrittore boemo, intrise di un senso di alienazione e impotenza e che sollevano interrogativi fondamentali sulla condizione umana, sulla società e sulla giustizia. In particolare, la grandezza morale e poetica di Kafka emerge in modo distintivo nel suo rifiuto di protestare e nella sua accettazione serena delle limitazioni esistenziali. 

Il nucleo di una riflessione che ora presento in queste righe, prende spunto da una tesina che scrissi in quinta superiore, e si concentra sul concetto del “rifiuto di protestare” da parte di Kafka. Contrariamente alla tradizione letteraria che celebra la ribellione come un atto di coraggio e integrità, Kafka sceglie una strada diversa. Egli riconosce pienamente la sua impotenza di fronte a un mondo illogico e spesso oppressivo, e invece di combattere contro di esso, abbraccia la sua condizione di essere limitato. Questo atto di accettazione è intrinsecamente connesso alla sua visione esistenziale, in cui l’individuo è condannato a una lotta futile contro forze soverchianti e inspiegabili. 

In Kafka questa accettazione non significa passività o rassegnazione, ma piuttosto un’intima consapevolezza delle proprie limitazioni. Egli esplora le profondità dell’angoscia esistenziale e della frustrazione umana senza cercare una facile via d’uscita attraverso la ribellione. La sua opera diventa così un’esplorazione inestricabile della condizione umana, in cui l’individuo è costantemente minacciato dalla sua stessa impotenza e dalle forze oscure che governano il mondo. 

Un aspetto cruciale della visione di Kafka è il senso di colpa che permea molte delle sue opere. Questo senso di colpa non è tanto legato a un’azione specifica, quanto piuttosto alla consapevolezza di essere intrappolati in un sistema di regole e leggi inspiegabili e spesso ingiuste. In molti dei suoi romanzi, Kafka esplora i tentativi dei suoi personaggi di comprendere e affrontare questa oscura forma di giustizia, solo per essere costretti a confrontarsi con la loro impotenza di fronte ad essa. 

Questo senso di colpa e di illiceità aggiunge un ulteriore strato di complessità alla sua opera, evidenziando la sua profonda comprensione della natura umana e della sua condizione esistenziale. Kafka non offre risposte definitive o soluzioni facili, ma piuttosto ci invita a riflettere sulle domande più profonde riguardanti il nostro rapporto con il potere, la giustizia e la moralità. 

In conclusione, la grandezza morale e poetica di Franz Kafka risiede nella sua capacità di abbracciare le limitazioni umane senza perdere la sua integrità o la sua profondità emotiva. Attraverso la sua opera Franz Kafka ci invita a confrontarci con le nostre paure e le nostre incertezze, e a esplorare le profondità oscure della condizione umana con coraggio e umiltà. In un mondo dominato dalla ricerca del potere e della ribellione, Kafka ci ricorda l’importanza di accettare le nostre limitazioni e di trovare significato anche nella nostra impotenza.

_____________ 

Nota: negli anni Ottanta la biblioteca civica di Pollena Trocchia era un punto di riferimento per tanti adolescenti e giovani desiderosi di leggere e formarsi culturalmente. Mi auguro che la Biblioteca civica venga adeguatamente valorizzata.

 

venerdì 3 novembre 2023

Sito delle "Fontanelle" sul monte Somma, eseguita una prima pulizia

 

Dall'amico Erasmo Mercogliano ho ricevuto due foto riguardanti località "Fontanelle" sul monte Somma. Alcuni mesi fa questo sito  era ingombro di rifiuti abbandonati. Le foto che seguono mostrano che il sito è stato bonificato e ciò viene accolta come una buona notizia!