mercoledì 13 settembre 2023
Promuovere il turismo sul monte Somma: investire nella pulizia e sicurezza dei sentieri
sabato 9 settembre 2023
Per favore o per dovere civico?
(un'immagine dei paesi vesuviani visti dal monte Somma)
Recentemente passeggiando per una tranquilla strada nel comune di Cercola, mi sono imbattuto in un cartello che, con toni gentili e parole come “per favore” e “grazie”, invitava i cittadini a non abbandonare rifiuti davanti alle abitazioni e a raccogliere gli escrementi dei propri cani. Mentre la mia prima reazione potrebbe sembrare di affetto per la gentilezza, in realtà ho provato una sensazione di turbamento. Questo turbamento non è dovuto a una reazione contro la gentilezza in sé, ma piuttosto alla necessità di riconsiderare come ci rapportiamo al nostro dovere civico e al rispetto per la comunità.
La gentilezza e la cortesia sono valori importanti, e non vi è nulla di male nell’invitare le persone a fare le cose con gentilezza e gratitudine. Tuttavia, quando si tratta di questioni di igiene pubblica e decoro urbano, dovremmo riflettere più a fondo sulle parole che usiamo e sulle aspettative che abbiamo nei confronti dei cittadini. Non dovremmo dover “pregare” o “ringraziare” qualcuno affinché rispetti il nostro ambiente e la dignità delle nostre case.
L’abbandono di rifiuti e l’ignorare gli escrementi dei cani non sono solo comportamenti incivili, ma rappresentano una mancanza di rispetto per se stessi e per la comunità in cui viviamo. Non è una questione di fare un “favore” agli altri, ma piuttosto di compiere un dovere civico. Questo dovere non dovrebbe richiedere gentili richieste o ringraziamenti; dovrebbe essere una responsabilità intrinseca che ciascun cittadino dovrebbe sentire di adempiere.
Rispettare l'ambiente urbano significa garantire un ambiente pulito e piacevole per tutti. È un segno di civiltà e maturità collettiva. Non dovremmo aver bisogno di cartelli che ci “pregano” di rispettare queste norme di base. Dovremmo farlo automaticamente, senza bisogno di richiami.
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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul seguente collegamento Libri di Carlo Silvano
giovedì 7 settembre 2023
La leggenda del fiume Veseri a Pollena Trocchia
Dal volume "Diario partenopeo. Appunti di viaggio di un quindicenne trevigiano", di Giuseppe Tranchese, viene tratto il brano che segue:
[…]
Qualche
ora prima di cena,
mentre curiosavo nella piccola biblioteca che c’è a casa di nonno,
mi sono interessato ad un libro del conte Ambrogino Caracciolo
intitolato “Sull’origine
di Pollena Trocchia”
e come sottotitolo “Sulle
disperse acque del Vesuvio e sulla possibilità di uno sfruttamento
del monte Somma a scopo turistico”.
A cena ho parlato di questo libro con mio padre e gli zii e così ho
saputo che non esiste più un corso d’acqua, un tempo chiamato
Veseri o Vesere, che dal monte Somma scendeva a valle e, molto
probabilmente, segnava anche il confine tra i villaggi di Pollena e
Trocchia. Sulla scomparsa di questo torrente, mio padre mi ha
raccontato una leggenda che riporto qui di seguito.
«Tanto tempo fa, sulle pendici del monte Somma, una giovane donna di nome Giovanna viveva da sola in una casupola nei boschi, accanto alla sorgente del torrente Veseri. Giovanna amava la natura e dedicava le sue giornate alla raccolta di erbe medicinali, che conosceva molto bene grazie allo studio di un libro ad esse dedicate, e che usava per curare gratuitamente i contadini e le altre persone dei borghi di Pollena e Trocchia. Giovanna si guadagnava da vivere dipingendo icone che rappresentavano la Santissima Trinità e la Vergine Maria di Nazareth.
La giovane donna era molto amata dalla comunità locale per la sua generosità e la sua fede in Dio, ed era sempre pronta ad aiutare chiunque si rivolgesse a lei, curando con amore e dedizione malattie e dolori. Tuttavia, non tutti vedevano di buon occhio la sua opera di bene.
Alcuni notabili dei due borghi, invidiosi del suo talento e della stima che la gente riponeva in lei, complottarono contro Giovanna. Con la complicità di alcuni malvagi contadini, diffusero voci e pettegolezzi, accusandola di essere una strega che faceva uso di magia nera per preparare medicinali e unguenti.
La notizia si diffuse rapidamente e creò scompiglio nelle due comunità di Pollena e Trocchia. La gente, spaventata dalle accuse e manipolata dalle malelingue, iniziò a evitare Giovanna, temendo che la sua presenza potesse arrecare loro sventure. Persino alcuni dei suoi conoscenti e pazienti più fedeli cominciarono a dubitare della sua integrità.
Giovanna, disperata e incapace di difendersi da tali ingiuste accuse, trovandosi di fronte le guardie della milizia cittadina che erano andate presso la sua casupola per arrestarla, si diede alla fuga e per sfuggire alla morte sicura sul rogo e anche per proteggere il bene che aveva fatto alla gente con le sue medicine, decise di trovare rifugio dirigendosi verso un bosco di acacie. Mentre, però, attraversava un ponticello fatto di assi di castagno posto sulla sorgente del Veseri, accanto al quale aveva sempre vissuto, fu in un attimo rapita dalle limpide acque del torrente che subito inghiottirono la giovane Giovanna, con un’enorme onda che si alzò dalla sorgente, scuotendo la terra e facendo tremare gli alberi circostanti. Da quel giorno, il torrente Veseri sparì dal suo letto naturale per immergersi nelle profondità della terra, e portando con sé la purezza e l’amore di Giovanna.
La scomparsa del torrente Veseri ebbe conseguenze terribili per i malvagi contadini e dei due borghi. Prima, infatti, essi potevano beneficiare delle acque cristalline del torrente per le loro colture e per il loro benessere personale. Ma ora, senza le acque del torrente Veseri, le loro terre divennero poco fertili, e i loro campi e frutteti non produssero più ortaggi e frutti abbondanti.
La punizione divina era caduta su di loro, come una risposta alla loro meschinità e alla loro malvagità. Si resero conto troppo tardi di aver perduto una fonte di benedizione e guarigione, che una volta era stata loro offerta da Giovanna, la giovane guaritrice del monte Somma.
Da quel giorno, le acque del Veseri rimasero intrappolate nelle profondità della terra, inaccessibili agli occhi e alle mani degli uomini malvagi. La gente dei borghi circostanti imparò una lezione preziosa sulla fiducia e la bontà, e nel loro cuore rimase vivo il ricordo di Giovanna, la fanciulla che aveva dedicato la sua vita a curare e a confortare il prossimo».
Oggi sono in pochi a conoscere la leggenda di Giovanna e del torrente Veseri, e a ricordarla come un monito contro l’ingiustizia e come un ricordo indelebile dell’amore e della compassione che possono risiedere nel cuore di una semplice donna. Tra qualche giorno con mio padre farò una breve escursione sul monte Somma e con noi dovrebbe venire anche mio zio Giulio. [...]
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Per informazioni sul volume cliccare sul seguente collegamento: Diario partenopeo di Giuseppe Tranchese Il volume si può ordinare in tutte le librerie fisiche e in rete, come ad esempio su Il Libraccio al seguente collegamento: Diario partenopeo
Dimmi come guidi e ti dirò chi sei
“Dimmi come guidi e ti dirò chi sei”
Sono tanti gli automobilisti
che a Napoli e provincia
non rispettano il codice stradale
POLLENA TROCCHIA - Rispettare il codice della strada è innanzitutto un atto di civiltà. Significa prendersi cura della propria vita e di quella degli altri, dimostrando un rispetto fondamentale per la comunità. Troppo spesso, però, assistiamo a comportamenti aggressivi e infrangimenti delle regole stradali che mettono a rischio la sicurezza di tutti. Attraversare un semaforo rosso o ignorare uno stop può avere conseguenze devastanti, non solo sul piano fisico ma anche psicologico. La mancanza di rispetto del codice stradale non è solo pericolosa, ma può anche contribuire allo stress e alla rabbia delle persone. Chi si trova costantemente circondato da automobilisti che non rispettano le regole può sentirsi impotente e frustrato. Questa stanchezza psicologica, questo stress alla guida può riversarsi nella vita quotidiana, influenzando negativamente il nostro benessere mentale e le relazioni con gli altri.
Nella tradizione cristiana, il rispetto per il prossimo è un valore centrale. Questo rispetto non dovrebbe limitarsi solo all'ambito delle relazioni personali, ma dovrebbe estendersi anche alla strada. Gesù insegnò l'amore per il prossimo e la compassione, e questo si applica anche alla guida. Quando ci sediamo al volante, abbiamo la responsabilità di proteggere la vita altrui, proprio come dovremmo farlo in ogni altro aspetto della nostra vita.
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domenica 6 agosto 2023
La stalla della masseria Rutiglia
Qui di seguito un racconto intitolato "La stalla della masseria Rutiglia", ambientato tra Pollena Trocchia e Cercola durante la Seconda guerra mondiale, e inserito nel volume "Racconti da leggere davanti a un focolare", scritto da Autori vari e pubblicato da Youcanprint (2023).
Era una notte fredda e piovosa quando siamo arrivati nella stalla della masseria Rutiglia dove abitavano anche i miei nonni. Mio padre ci aveva portato lì perché voleva metterci al sicuro: a circa sei chilometri di distanza in linea d’aria c'era il Vesuvio che da qualche giorno aveva iniziato a eruttare. Nella stalla tutti gli animali erano nervosi e agitati, le tre mucche muggivano e il cavallo nitriva. I maiali si agitavano nel loro recinto, cercando di scappare perché avevano paura.
Nonostante mia madre, che teneva in braccio il piccolo Luigi, cercasse di rassicurarci dicendoci che saremmo stati al sicuro nella stalla, io e le mie sorelline avevamo ancora paura. Avevo solo dodici anni e non avevo mai visto un'eruzione del Vesuvio. Non sapevamo cosa sarebbe successo.
L'interno della stalla era buio e spoglio, e avevamo la paglia e solo qualche vecchia coperta per proteggerci dal freddo. Mio padre aveva portato delle candele per darci un po’ di luce, ma non facevano molto per scacciare le ombre. Le mucche stavano rintanate in un angolo, con i loro grandi occhi spalancati che ci fissavano preoccupati, mentre il vecchio cavallo era ben legato con una solida corda a un anello di metallo con la spina conficcata nel muro: ogni volta che il nonno doveva andare al mercato con il carretto, il cavallo era docile e mansueto, ma ora fremeva, nitriva e scalciava. Soprattutto i maiali si agitavano nel loro recinto.
Nonostante tutto, mio padre cercava di mantenere la calma, parlandoci dolcemente e raccontandoci storie per distrarci, come quando era stato in Abissinia a lavorare come manovale nella costruzione di una lunga strada imperiale, e di notte dormiva in una tenda con una lampada accesa e con un pesante bastone sempre a portata di mano, così da uccidere i serpenti che infestano quella terra e che spesso entrano nei giacigli degli uomini. Mia madre, invece, con fatica aveva munto il latte dalle mucche e ce lo aveva servito in qualche tazza recuperata chi sa dove per tenerci un po’ al caldo. Ma era difficile non preoccuparsi. Tutti noi eravamo spaventati, incerti su cosa sarebbe successo durante la notte. Sapevamo solo che dovevamo rimanere uniti e pregare che tutto sarebbe andato per il meglio.
Mentre da sola camminavo il mio sguardo si posava spesso sugli alberi che erano spogli oppure sul terreno fangoso e senza vita. Era uno scenario triste e desolato, ma non potevo fare a meno di sentirmi grata per essere ancora viva e per avere la mia famiglia al mio fianco: durante la notte avevo sentito i miei genitori che tante persone erano morte a causa dell’eruzione del Vesuvio.
Continuavo a chiedermi cosa sarebbe successo in futuro, ma non avevo risposte. Ero solo una bambina di dodici anni, e non avevo il potere di cambiare ciò che stava accadendo, ma sapevo che dovevo essere forte e aiutare mia madre e mio padre che si prendevano cura delle mie sorelline. In quel momento, camminando senza meta attorno alla masseria Rutiglia, ho capito che l’importante era essere presenti e sopravvivere accogliendo un giorno alla volta.
In mezzo a tutta questa incertezza, arrivò un frate predicatore. Era un uomo anziano, con i capelli grigi e gli occhi brillanti. Indossava una lunga tonaca nera e un crocifisso di legno al collo.
Il frate parlò con i contadini che erano venuti ad ascoltarlo, incoraggiandoli con parole piene di fede e dicendo che Dio avrebbe protetto i loro figli. Poi si rivolse a noi bambini e ci parlò con dolcezza. Ci raccontò storie di santi e di eroi che avevano combattuto per la giustizia e ci disse che, se avessimo avuto fede, avremmo potuto superare qualsiasi ostacolo.
Quando il frate andò via, andai senza rendermi conto verso il giardino cinto da un alto muro e siccome il cancello in ferro era aperto, vi entrai e mi trovai davanti al capitello dove era stata posta un’immagine della Vergine di Pompei. Avrei voluto pregare con le parole del “Salve o Regina”, ma in quel momento non riuscivo a ricordarmela seppure l’avessi recitata tante volte, e allora mi inginocchiai e chiusi gli occhi, iniziai a pregare con le prime parole che mi venivano dicendo:
Mia dolce Regina,
tu che sei la Madre di Dio,
guarda con amore me
che oggi mi rivolgo a te con questa preghiera.
In questi tempi oscuri,
la guerra ci circonda e il Vesuvio erutta
minacciando la nostra casa.
Ma nonostante tutto questo,
io non perdo la speranza,
perché so che tu sei sempre al mio fianco
per proteggermi e per guidarmi.
Prego per la mia anima
e per quella dei miei familiari,
affinché possiamo tutti trovare la forza
e la pace necessarie
per superare questi momenti difficili.
Sii la nostra guida, o Madre di Dio,
e aiutaci a superare ogni ostacolo.
Amen.
Mentre pregavo sentii una forza profonda e tranquilla scorrermi dentro, una forza che mi confortava e mi dava coraggio. Quando poi aprì gli occhi mi accorsi che il cielo si stava schiarendo e che i primi raggi di sole stavano cominciando a filtrare tra le nuvole. Era un segno di speranza, un promemoria che la vita andava avanti anche nei momenti più difficili. Mi alzai in piedi, decisa ad affrontare il futuro con coraggio e determinazione, e pronta a lottare per la mia famiglia e per me stessa.
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Il volume "Racconti da leggere davanti a un focolare" si può ordinare in tutte le librerie fisiche e in rete, oppure cliccando sul seguente collegamento: Racconti da leggere davanti a un focolare
mercoledì 2 agosto 2023
La forza di ogni Comunità parrocchiale risiede nel suo patrimonio di fede, valori e ideali condivisi
Una comunità parrocchiale non è semplicemente un gruppo di individui che si riuniscono nello stesso luogo di culto. È molto di più: è un legame profondo che unisce le persone attraverso valori e ideali condivisi. Senza una base solida di convinzioni comuni, una comunità può trovarsi in difficoltà nel crescere e prosperare. In questa riflessione, proverò a sottolineare l’importanza di avere valori e ideali comuni all’interno di una comunità parrocchiale e come ciò sia fondamentale per costruire unità e coesione.
Uno dei principali fattori che contribuiscono alla forza e all’unità di una comunità parrocchiale è la condivisione di una visione comune dei sacramenti. La fede, ad esempio, nella potenza trasformatrice dell’Eucaristia, il significato della Confessione e l’importanza di tutti gli altri sacramenti giocano un ruolo cruciale nell’orientamento spirituale dei membri. Quando tutti condividono la stessa visione di questi momenti sacri, si realizza un legame profondo e una connessione spirituale che uniscono le anime nella ricerca comune di crescita e santità.
Inoltre, il credo apostolico rappresenta un fondamento essenziale su cui una comunità parrocchiale dovrebbe costruire la sua identità. Condividere le stesse verità fondamentali della fede cattolica, come la Trinità, l’incarnazione di Gesù Cristo e la redenzione, crea un terreno fertile per la comunione tra i membri. Questi principi costituiscono l’essenza stessa della fede e agiscono come un legame che tiene insieme la comunità in tempi di sfide e gioie.
Oltre ai sacramenti e al credo, la conoscenza e il rispetto per i Dieci Comandamenti è un altro elemento chiave nella costruzione di una comunità parrocchiale unita. Questi precetti morali fondamentali non solo guidano il comportamento individuale, ma fungono anche da base per le interazioni all’interno della comunità. Il rispetto reciproco, la giustizia e l’amore per il prossimo sono tutti valori che si riflettono nei Dieci Comandamenti e che contribuiscono alla creazione di un ambiente armonioso e solidale.
L’attuazione dei dettami del Catechismo della Chiesa cattolica rappresenta un ulteriore pilastro di unità all’interno della comunità. Il Catechismo offre una guida completa per la dottrina e la morale cattolica, stabilendo linee guida chiare per il vivere quotidiano. Quando i membri condividono l’impegno a vivere secondo questi dettami, si crea un senso di responsabilità e uno spirito di coerenza che mantiene la comunità centrata sui principi fondamentali della fede.
È importante riconoscere che, all’interno di una comunità parrocchiale, possono emergere dibattiti e discussioni su questioni pratiche, come modalità di catechismo o priorità dei lavori edili da eseguire per ristrutturare i vari edifici parrocchiali. Tuttavia, questi dibattiti dovrebbero avvenire all’interno del contesto di una visione condivisa dei valori fondamentali. La diversità di opinioni può arricchire la comunità, purché ci sia un impegno condiviso verso la visione spirituale centrale. Non è possibile, in altre parole, che all’interno di una comunità parrocchiale ci siano “opinioni diverse” su temi importanti come aborto, prostituzione o unioni tra persone dello stesso sesso.
In assenza di una visione comune e di valori condivisi, una comunità parrocchiale rischia di frammentarsi. Le divisioni possono emergere, minando l’armonia e l’unità che sono essenziali per il benessere spirituale e pratico della comunità. Pertanto, è fondamentale che i membri lavorino costantemente per coltivare e rafforzare questa base di valori e ideali comuni.
In conclusione, una comunità parrocchiale unita si costruisce e si mantiene attraverso la condivisione di valori e ideali comuni. La visione condivisa dei sacramenti, del credo apostolico, del rispetto per i Dieci Comandamenti e dell’attuazione del Catechismo della Chiesa cattolica costituisce il fondamento su cui si erige una comunità forte e coesa. Pur permettendo la diversità di opinioni su questioni pratiche, è fondamentale che la comunità mantenga una visione spirituale unificante. Solo allora la comunità parrocchiale potrà crescere, prosperare e rimanere una luce luminosa di fede e amore nella società, così da evitare che diventi un mero gruppo di individui che si riuniscono nello stesso luogo di culto.
martedì 18 luglio 2023
Leggende del monte Somma, Il crociato della cappella della Vetrana
Pollena Trocchia - Un tempo, sulle verdeggianti pendici del monte Somma, si ergeva un antico eremo conosciuto come la Vetrana. Questo luogo sacro, incastonato tra i casali di Pollena e Massa di Somma, custodiva una misteriosa cappella dedicata alla Vergine Maria di Nazareth. Tuttavia, il destino avverso colpì la Vetrana durante la terribile eruzione del Vesuvio del 1794.
Prima della catastrofe, l'eremo ospitava due religiosi, fra cui un certo fra Carlo Ilardo da Pollena. Ma la storia di questo luogo sacro risaliva a tempi ancora più lontani. Secondo una leggenda tramandata di generazione in generazione, la fondazione dell'eremo era attribuita a un cavaliere crociato di nome Amedeo di Ciamberì.
Raccontavano che Amedeo, anziano e malato, fece ritorno dalla Prima Crociata e si fermò alle pendici del monte Somma davanti al golfo di Napoli. Dopo anni di battaglie e peregrinazioni, il cavaliere si trovava in una condizione di debolezza fisica e spirituale. Durante la sua avventura in Terra Santa, aveva fatto un voto solenne dinanzi alla grotta della Natività, promettendo di dedicare il resto della sua vita al servizio divino se fosse sopravvissuto e fosse tornato a casa.
Fedele al suo giuramento, Amedeo, sbarcato a Napoli rimase incantato dalle sue bellezze naturali e decise di fondare un eremo in onore della Vergine Maria. Amedeo era originario dell’antica città di Leminicum, ora conosciuta come Ciamberì, nell'Alta Savoia, che lo aveva visto nascere e crescere. Ma ora era sulle pendici del monte Somma ed è qui che avrebbe dato vita al suo sogno. Quindi, con tutte le forze rimastegli, iniziò la costruzione dell'eremo della Vetrana.
Per realizzare la sua missione divina, Amedeo decise di offrire alla Vergine Maria sia la sua preziosa spada che armatura, simboli delle sue passate imprese. In cambio del suo sacrificio personale, ottenne una croce sacra di inestimabile valore. Solennemente, pose questa croce sul piccolo campanile dell'eremo, illuminando la sua struttura con una speranza ardente.
Gli anni trascorsero, e l'eremo della Vetrana divenne un luogo di preghiera e riflessione per i pellegrini che cercavano la pace e l’occasione per far fiorire la propria spiritualità.
Arrivò però un giorno una triste notizia che si diffuse come un sussurro: il cavaliere Amedeo, colui che aveva fondato l'eremo, aveva terminato il suo cammino terreno. La comunità che si era formata intorno all'eremo pianse la perdita del nobile cavaliere e lo seppellì con onori accanto alla sua amata cappella.
Tuttavia, il destino aveva in serbo un crudele destino per la Vetrana. Nel 1794, l'ira ardente del Vesuvio si scatenò con furia impietosa. Le colate di lava inarrestabili si riversarono sulle pendici, consumando tutto ciò che trovavano sul loro cammino. La cappella, l'eremo e la tomba di Amedeo furono sepolti per sempre sotto uno strato di roccia fusa.
Oggi, i resti dell'eremo della Vetrana giacciono nascosti sotto la maestosità del monte Somma, un ricordo silenzioso di una storia sepolta nel passato. Tuttavia, tra gli abitanti locali, la leggenda del cavaliere Amedeo e del suo voto alla Vergine di Nazareth vivono ancora, come un'espressione di fede e perseveranza. E la croce, simbolo dell'ardente promessa del cavaliere, si dice che un giorno tornerà a brillare, anche se ora è ancora nascosta sotto le rocce, a ricordo di un tempo in cui un eroe sacrificò tutto per la sua fede.