lunedì 8 agosto 2016
giovedì 1 gennaio 2015
Buon 2015
Pollena Trocchia - Come da tradizione ho iniziato il primo giorno dell'anno partecipando con mia moglie e miei figli ad una Messa nella chiesa dei Vergini a Napoli, presieduta da don Michele Esposito.
A quanti frequentano questo blog auguro un sereno e fruttuoso 2015.
La foto mostra una "barca" realizzata nella chiesa dei Vergini a Napoli.
venerdì 5 settembre 2014
Agosto 2014
Gli ultimi quindici giorni di agosto sono stato a Napoli e, precisamente, a Forio d'Ischia. Purtroppo a Pollena sono stato per pochi giorni...
Ecco alcune immagini dell'isola scattate sul monte Epomeo.
Ecco alcune immagini dell'isola scattate sul monte Epomeo.
mercoledì 11 giugno 2014
L'onda azzurra, viaggio nel mondo di Crio
Ci trascina nel suo viaggio attraverso la lettura di questo libro, Marco, il protagonista di questo breve romanzo rimasto vittima di un grave incidente. Nel letto di un ospedale si sente travolgere da un’onda azzurra che lo purifica e si ritrova in un mondo appartenente ad un altro tempo, in un’altra dimensione, dentro a una natura incontaminata dove nulla ferisce e niente è pericoloso.
Con lui si assaporano i profumi, si provano le emozioni di una vita semplice, più austera ma senza affanno, irreale.
E con Sabrina, che condurrà per mano Marco in questo viaggio fantastico, il lettore s’inoltra verso boschi odorosi e verdeggianti, erbe rampicanti e fresche ed argentee acque, luoghi straordinari, in un mondo illuminato da una stella dove quello che vivi e provi resterà impresso nel cuore.
Crio è la stella che illumina Marco nel cammino verso la conoscenza della sua anima, del suo essere bisognoso di affetto, di amicizia e di calore come ogni creatura umana.
Via via che si delinea la storia, emergono i particolari, riaffiorano nel protagonista i ricordi, gli errori del suo passato; descrive a Sabrina l’esperienza avuta in carcere e vissuta in un contesto invivibile.
Il breve e delicato romanzo di Carlo Silvano ci invia eloquenti messaggi e porta a riflettere soprattutto sulla realtà del nostro tempo: quali l’aborto, le condizioni carcerarie e quelle delle donne nei paesi islamici.
Nel mondo di Crio, Marco ci vorrebbe rimanere; un mondo di luce, di pace e serenità, quello in cui, sicuramente, ognuno di noi anela.
[Adriana Michielin (presidente del Circolo "Matilde Serao" di Villorba)]
Qui di seguito propongo una parte del primo capitolo de "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio"....
Con lui si assaporano i profumi, si provano le emozioni di una vita semplice, più austera ma senza affanno, irreale.
E con Sabrina, che condurrà per mano Marco in questo viaggio fantastico, il lettore s’inoltra verso boschi odorosi e verdeggianti, erbe rampicanti e fresche ed argentee acque, luoghi straordinari, in un mondo illuminato da una stella dove quello che vivi e provi resterà impresso nel cuore.
Crio è la stella che illumina Marco nel cammino verso la conoscenza della sua anima, del suo essere bisognoso di affetto, di amicizia e di calore come ogni creatura umana.
Via via che si delinea la storia, emergono i particolari, riaffiorano nel protagonista i ricordi, gli errori del suo passato; descrive a Sabrina l’esperienza avuta in carcere e vissuta in un contesto invivibile.
Il breve e delicato romanzo di Carlo Silvano ci invia eloquenti messaggi e porta a riflettere soprattutto sulla realtà del nostro tempo: quali l’aborto, le condizioni carcerarie e quelle delle donne nei paesi islamici.
Nel mondo di Crio, Marco ci vorrebbe rimanere; un mondo di luce, di pace e serenità, quello in cui, sicuramente, ognuno di noi anela.
[Adriana Michielin (presidente del Circolo "Matilde Serao" di Villorba)]
Qui di seguito propongo una parte del primo capitolo de "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio"....
Capitolo I
Nessun rumore.
Nemmeno un odore. Provava una strana sensazione, quasi fosse sospeso
nell'aria; forse lo era veramente. Si sentiva bene, però. Provò ad
aprire gli occhi. Niente. Non riusciva a percepire alcun muscolo del
proprio corpo. Nemmeno il suo respiro avvertiva.
"Sono
morto?", si domandò senza provare alcuna emozione, dopo
l'ennesimo tentativo andato a vuoto di alzare le palpebre.
"Sono
solo!", si disse.
Si sforzò di
ricordare ciò che aveva fatto negli ultimi giorni. Niente. Nessun
ricordo affiorava alla mente, e continuava invece a sentirsi leggero
e sospeso nel vuoto.
Era sicuro di
stare ancora in un corpo, nel suo corpo, ma non riusciva ad avvertire
nulla; neanche un dolore o un fastidio.
Provò allora a
immaginare il suo corpo e si riconobbe sul letto di un ospedale. Era
successo qualcosa di molto grave. Forse di irreparabile. Non per
questo, però, ebbe paura. Anzi, continuò a restare tranquillo.
Senz'altro attorno a lui c'erano medici e infermieri che si davano un
gran da fare per salvargli la vita, e di certo oltre la porta della
sala operatoria c'erano genitori, parenti e amici che si disperavano
per quanto era successo. Lui, intanto, non sentiva dolore e non
provava paura. Era molto rilassato. La sala operatoria doveva essere
ben illuminata, ma lui continuava a non percepire nulla; non riusciva
neppure a intravedere l'accecante luce dei fari che certamente gli
piombava addosso dal soffitto, e non capiva, ora, nemmeno se avesse o
meno gli occhi aperti. Forse qualche chirurgo lo stava operando e il
suo sangue e la sua carne stavano lottando per vivere, per trattenere
nel corpo il soffio della vita. Non poteva escluderlo. Continuava
ancora a chiedersi cosa potesse succedere attorno al suo corpo,
quando iniziò a provare una strana sensazione perché qualcosa di
misterioso e di impenetrabile si stava avvicinando. Non riusciva a
capire cosa potesse essere. Eppure qualcosa stava accadendo.
Attorno a lui
aveva iniziato a ruotare molto lentamente una potente forza e man
mano che questa gli girava attorno, lui provava strane sensazioni,
sempre più forti: a tratti percepiva un rassicurante tepore, per poi
essere colto da improvvisi e piacevoli brividi di freddo che lo
facevano precipitare velocemente in un vuoto senza fine e fuori dal
tempo. Inutile pensare alla durata di ciò che gli stava capitando.
Era in un vortice: quella forza misteriosa sapeva miscelare bene le
emozioni da fargli provare e per un tempo infinito. Poi,
all'im-provviso, tutto si fermò, e quella strana forza iniziò a
prendere la forma di una gigantesca e placida onda azzurra. Una massa
d'acqua che lentamente procedeva verso di lui, e lui non aveva paura.
Fu un attimo e l'acqua gli lambì i piedi. Solo ora iniziò a
percepire il suo corpo. Sì, avvertiva di avere un corpo. L'acqua
azzurra, tiepida e trasparente, iniziò a penetrare dentro di lui dai
piedi arrecandogli un benessere mai provato prima. Si sentiva bene,
tranquillo e rilassato. L'acqua, lentamente, attraversò le gambe e i
ginocchi come se volesse sbriciolare e disperdere lontano ciò che
non apparteneva al suo corpo. Si sentiva libero, tonificato, e provò
una profonda pace quando l'acqua si riversò nel ventre svuotandolo
da ogni peso, da ogni impurità, continuando a salire per depurare il
fegato e rigenerargli il cuore.
Lentamente l'onda
azzurra fluttuava, attraversando anche le arterie e le vene, per
arrivare alle mani e poi ai polmoni, riempendoli e rilassandoli. Poi,
sempre lentamente, l'onda azzurra attraversò anche la gola per
penetrare nel cranio, e al tepore seguì una gradevole sensazione di
purificazione.
Era libero dentro
di sé. Completamente libero. Ora nulla contaminava il suo corpo. Ed
ora che l'onda azzurra lo aveva completamente conquistato occupando
ogni cellula del suo corpo, iniziò a liberarlo, trascinando con sé
tutti i residui delle ansie e dei timori che spesso lo avevano
accompagnato nel corso di grigie e monotone giornate. L'onda azzurra
lasciava il suo cranio scivolando piano giù per la gola, i polmoni,
le viscere e le gambe, per poi uscire completamente dai piedi.
Marco, ora, e solo
ora, era veramente libero e aprì gli occhi: era disteso sulla sabbia
con il cielo celeste e limpido che, in alto, gli si spalancava
davanti senza confine, mentre leggere e tranquille onde marine si
avvicinavano timidamente ai suoi piedi e lui percepiva
l'incontaminato bacio della soffice schiuma bianca.
Marco si sedette
sulla battigia: era su una piccola spiaggia racchiusa in una rada e
davanti a lui si estendeva, piatto come una tavola, il mare di un
altro mondo, di un mondo appartenente a un altro tempo e a un'altra
dimensione. Nessuno scoglio affiorava dal mare e a destra e a
sinistra una fitta e ordinata vegetazione ricopriva due imponenti
promontori che avanzavano nell'acqua per alcune centinaia di metri.
Alle sue spalle e non lontano dovevano esserci folti cespugli di
lavanda perché ne percepiva, anche se leggermente, il profumo.
Marco, estasiato e cosciente, non si poneva alcuna domanda, ma
lasciava solo che i suoi occhi si nutrissero del blu intenso del mare
incoronato dalla celeste volta del cielo. Alcuni gabbiani volavano
alti e l'aria era fresca. Marco stava bene con se stesso e non aveva
alcun desiderio. Gli piaceva l'aria carica di iodio del mare e si
sentiva a proprio agio indossando una polo di colore chiaro e dei
pantaloncini bianchi. Con la mano sinistra raccolse un pugno di
sabbia e la strinse perché gli faceva bene quel contatto: gli dava
una calda sensazione.
A un tratto si
accorse che qualcuno camminava verso di lui. Si girò e riconobbe in
un volto semplice un suo amico d'infanzia. Si chiamava Giuseppe, ma
tutti lo chiamavano Peppino ed aveva origini partenopee. Si erano
conosciuti per le strade del loro quartiere e tra i banchi delle
scuole elementari, per poi perdersi di vista. Marco non si stupì di
incontrare Peppino perché dentro di sé aveva sempre creduto che
prima o poi si sarebbero rivisti.
"Ti stiamo
aspettando". Gli disse Peppino e abbozzò quel sorriso, un
po' amaro e un po' mesto, che lo aveva sempre contraddistinto.
Marco si alzò,
per un attimo si guardarono negli occhi e avrebbero voluto dirsi
tante cose, ma per carattere si limitarono a una stretta di mano, di
quelle forti e che tolgono il respiro.
"Qui ci
sono dei sandali per te", fece Peppino indicandogli delle
calzature, e facendogli capire, con un cenno della testa, che si
sarebbero diretti verso la pineta che iniziava a circa cinquanta
metri da loro. Dopo pochi minuti si ritrovarono già a percorrere un
sentiero all'ombra di pini marittimi; sulle loro teste, da un ramo
all'altro, si muoveva qualche scoiattolo, oppure a volare era un
picchio incurante della loro presenza.
"Ti
ricordi ancora la scazzottata nel cortile della scuola?",
chiese a un certo punto Marco, e Peppino, sorridendo perché stava
pensando alla stessa cosa, gli rispose:
"Certo che
me la ricordo. Io ero il più forte della classe e tutti mi temevano.
Ero un vero capobanda. Anche tu avevi paura di me, però ti sei
battuto lo stesso, e devo riconoscere che me le hai date".
"Pure tu
mi hai assestato dei colpi che mi hanno fatto male. Per fortuna che
intervenne la suora, altrimenti stavamo ancora lì a scambiarci
cazzotti!".
"Già.
Tutti i compagni della classe avevano formato un cerchio attorno a
noi e per te solo un paio facevano il tifo...".
"Sì,
avevo solo un paio di sostenitori - ammise Marco, e aggiunse: -
All'improvviso li ho visti tutti scappare. Senza vedere chi
arrivasse ho intuito che doveva essere una suora e allora ho preso la
prima cartella coi libri che mi è capitata a tiro e sono corso via".
"Anch'io
ho fatto la stessa cosa. Tu prendesti la mia cartella e io la tua e
siamo scappati via senza guardarci dietro fino all'uscita della
scuola. Penso che la suora ci abbia inseguito per un bel tratto. Non
so chi fosse quella suora, ma doveva avere qualche chilo di troppo ed
è quello che ci ha salvati da una bella tirata d'orecchi".
Fuori dalla
scuola, Marco e Peppino si erano scambiati le cartelle e insieme
avevano fatto silenziosamente la strada fino al loro rione. Dopo
quell'episodio erano diventati amici e non si erano più presi a
pugni. In seguito, quelle rare volte che si incrociavano per strada,
si scambiavano solo qualche saluto, anche se entrambi avrebbero
voluto ridiventare bambini.
Camminarono per
circa mezz'ora e si ritrovarono in una radura dove ad attenderli
c'erano altri giovani. Stavano tutti seduti attorno a una brace e li
stavano aspettando per mangiare. Marco li guardò e con un lieve
cenno di testa li salutò uno a uno, e anche se non li aveva mai
visti sapeva – dentro di sé – i loro nomi. Si sedette accanto a
Sabrina, una ragazza [...]
Per reperire il volume in formato digitale cliccare su L'onda azzurra di Carlo Silvano
martedì 13 maggio 2014
Turismo, Vesuvio e dintorni
Rilanciare il turismo nell'area vesuviana non è semplice, eppure bisogna attivarsi in questa direzione per garantire una maggiore occupazione lavorativa e, soprattutto, la salvaguardia delle risorse naturali ed artistiche della zona. Sull'attività delle strutture alberghiere presenti nell'area vesuviana interviene, con questa breve intervista, il prof. Ciro Teodonno che da anni si occupa di ambiente e di promozione del Parco nazionale del Vesuvio e del monte Somma. Con le strutture alberghiere presenti nell'area vesuviana si potrebbe pensare ad invogliare i turisti interessati a restare in Campania per periodi medio-lunghi, così che abbiano la possibilità di visitare i siti archeologici, la città di Napoli con i suoi musei e a fare escursioni di un giorno in Costiera, nelle isole del golfo e nell'entroterra campano.
Prof. Teodonno, attualmente
nel Parco nazionale del Vesuvio quante e quali sono le strutture
ricettive che possono accogliere i turisti desiderosi sia di trascorrere
delle giornate passeggiando lungo i sentieri del parco che la città di Napoli?
Per quel che riguarda la
ricettività vesuviana è questa abbastanza eterogenea per qualità e
dislocazione, e spesso ricalca la situazione generale del contesto
turistico vesuviano, quello che, in maniera unidirezionale, rivolge
al Gran Cono tutta la sua attenzione. Buona parte degli hotel, per
quel che mi è dato sapere, conservano una qualità di forniture e
servizio nei limiti della decenza, rispettando le stelle di
riferimento anche se, molte di queste strutture arrotondano e spesso
sbarcano il lunario grazie all'uso delle stanze a mo' di albergo ad
ore. In effetti, molto del turismo vesuviano è un turismo “mordi e
fuggi”, proveniente dalle navi da crociera attraccate nel porto di
Napoli o quello dei turisti ospiti in Costiera.
La triste realtà del
turismo vesuviano esclude tutto ciò che non è Vesuvio e Gran Cono,
e l'unica direttrice valida è quella della strada provinciale del
Vesuvio che da Torre del Greco ed Ercolano sale al Vulcano. Lungo
questo asse viario privilegiato si possono osservare i relitti di
alcune attività di ristorazione e di accoglienza che non hanno retto
il passo dei tempi e della grande alternativa turistica, o, forse,
qualcuno non gliel'ha permesso. Su tutti spicca l'Eremo al Vesuvio la
più antica delle strutture alberghiere vesuviane, ma in balia del
vandalismo e del tempo. Comunque, tra gli hotel a
quattro stelle, troviamo il complesso Quattro Venti di Ercolano,
l'Hotel Augusto di Ottaviano, Il Castello a Terzigno e il
Sakura/Mercure di Torre del Greco che, credo, sia ormai chiuso per le
note vicende della "DEIULEMAR", gli armatori proprietari accusati di
bancarotta fraudolenta.
Ci sono anche alberghi a tre stelle?
Sì, come l'Albergo Santa Teresa a Torre del Greco, l'Eden Park Hotel Vesuvius
a Ercolano, forse il più alto tra tutti gli hotel e di recente
riaperto; c'è poi l'Holidays Hotel a Torre del Greco, l'Hotel
Faraone a Cercola, forse il meno vesuviano di tutti per distanza dal
Vulcano e il suo Parco Nazionale; abbiamo ancora l'Hotel Il Rosone a
Trecase, La Giara a Boscotrecase, e l'ottimo Marad Hotel a Torre del
Greco; infine Villa Signorini e Villa Aprile a Ercolano.
In zona operano anche ostelli e bed &
breakfast?
Tra gli ostelli che segnalo c'è il Bel Vesuvio Inn a San Sebastiano, Casa Cerciello a
Somma Vesuviana, Fiume di Pietra a Ercolano, che credo sia il più
vicino al Cratere nella sua tipologia, Il Cavaliere a Massa di Somma,
La Genet di Torre del Greco, La Murena a Ercolano, La Vigna a Pollena
Trocchia, Villa Patrizia a Ercolano e l'Albergo del Pellegrino presso
il santuario di Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia.
Un tempo - giusto per fare un po' di storia - era molto conosciuto l'Hotel Eremo...
E' una struttura che si trova a
circa 600 metri sul livello del mare lungo la strada provinciale e fu
costruito nel 1902 da John Mason Cook, armatore inglese e proprietario
della Ferrovia del Vesuvio e della Funicolare al Gran Cono che
compendiavano tutto il sistema d'accesso su rotaia al Cratere.
L'Eremo sorge ancora oggi tra Colle Umberto e il Colle del Salvatore,
là dove forse esisteva la dimora di un fantomatico eremita
produttore di frittate, che vendeva ai turisti del Gran Tour e a poca
distanza dalla chiesa del Salvatore, un ex voto degli appestati del
1656, e la sede storica dell'Osservatorio Vesuviano. La struttura era
dotata di 32 camere e strutturato su due piani più un ampio solaio.
Chiuse la sua quasi centenaria attività, negli anni '90, dopo
eruzioni vulcaniche, guerre, abusi edilizi e le vicende opache della
nostra storia. Il suo ultimo proprietario fu un certo commendator
Mario Paudice. Le ultime notizie lo vorrebbero destinato a ostello
per seminaristi, ma il tutto rimane ancora nel vago. La zona
dell'Eremo è inoltre circondata da antenne radiotelevisive che
rendono il luogo insalubre anche se un comitato locale si sta
battendo per la bonifica di quel luogo e tutta la zona di Contrada
Osservatorio dovrebbe rientrare in una serie di provvedimenti
comunali e del Parco Nazionale che dovrebbero riqualificarne stato e
funzione, ma questa è un'altra storia che non sappiamo se mai
vedremo realizzare. Resta il rammarico della costatazione di un luogo
storico e panoramico lasciato alle intemperie e al vandalismo. (a cura di carlo Silvano)
sabato 19 aprile 2014
Pollena Trocchia, La leggenda di San Martino al Carcavone
Ai lettori di questo blog propongo la lettura di una leggenda che ho raccolto anni fa e riguardante San Martino. Ho inserito questo testo in due brevi romanzi: "La bambina della masseria Rutiglia", pubblicato con Youcanprint, e "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio" con le Edizioni del noce.
Sul
fiume Veseri, che dal monte Somma scorreva verso il golfo di Napoli,
in una località chiamata Santo Nastaso, vi era un mulino ad acqua
dove lavorava un garzone di nome Andrea. Il ragazzo si stancò presto
del duro lavoro, soprattutto per i maltrattamenti che subiva dal
padrone del mulino, e spesso si chiedeva in che modo avesse potuto
guadagnare tanti soldi, magari in poco tempo e senza sforzi
eccessivi.
Una
domenica, nei pressi di un'osteria del villaggio di Apolline, gli
capitò di ascoltare alcuni boscaioli che raccontavano la leggenda
della statua tutta d’oro di san Martino, la quale doveva trovarsi
ancora all’interno di una cappella, nel bosco del Carcavone,
sommersa da una valanga di fango nella notte dei tempi. Convinto che
non si trattasse di una semplice leggenda, e desideroso di trovare la
statua per fonderla e impadronirsi dell’oro, Andrea, appena ebbe
una giornata libera dal lavoro, si recò sul monte Somma e si mise
alla ricerca della cappella inoltrandosi nella parte più fitta del
bosco del Carcavone.
Per
tutta la giornata cercò e cercò finché, arrivato nei pressi di
alcuni castagni ai margini di una radura, avvertì il terreno
franargli sotto i piedi e si trovò a scivolare all’interno di una
stretta e fangosa cavità. Andò giù per diverse decine di metri e
quando si fermò capì che doveva trovarsi in una grotta. Appena si
alzò, urtò la testa contro qualcosa di duro. Cercando di guardare
nell’oscurità, Andrea notò un fascio di luce, proveniente
dall’apertura della cavità da cui era penetrato, che illuminava
debolmente il luogo dove si trovava e… con sua meraviglia vide
apparirgli davanti la statua di san Martino!
Il santo e il cavallo, di grandezza naturale, erano completamente d’oro, di oro massiccio. E lui era urtato contro lo zoccolo del cavallo posizionato a mezz’aria. San Martino era in groppa al cavallo. Per diversi minuti Andrea rimase a bocca aperta dallo stupore. Poi un’incredibile gioia pervase tutto il suo corpo: al colmo della felicità, credette di aver risolto tutti i suoi problemi, pensò che non doveva più lavorare alla macina del mulino, che quella statua era ora di sua proprietà e che era diventato ricco, così ricco da poter competere con il re di quelle terre. Per circa un’ora non fece che girare intorno alla statua, accarezzando il freddo oro.
Il santo e il cavallo, di grandezza naturale, erano completamente d’oro, di oro massiccio. E lui era urtato contro lo zoccolo del cavallo posizionato a mezz’aria. San Martino era in groppa al cavallo. Per diversi minuti Andrea rimase a bocca aperta dallo stupore. Poi un’incredibile gioia pervase tutto il suo corpo: al colmo della felicità, credette di aver risolto tutti i suoi problemi, pensò che non doveva più lavorare alla macina del mulino, che quella statua era ora di sua proprietà e che era diventato ricco, così ricco da poter competere con il re di quelle terre. Per circa un’ora non fece che girare intorno alla statua, accarezzando il freddo oro.
La
sua gioia, però, svanì, anzi si tramutò in disperazione, quando si
accorse che vicino alla statua c’erano anche le ossa di altri
cercatori. Solo allora comprese che non solo non sarebbe riuscito a
portarsi via quella statua, ma che egli stesso non poteva più uscire
perché l’entrata era troppo alta ed egli non aveva con sé né una
corda né un arnese da usare per arrampicarsi. Ebbe il terrore della
morte, e pensò che di lì a poco la sua vita avrebbe avuto fine in
quella grotta, che non era altro che la cappella di san Martino
sommersa sotto tonnellate di terra. Gli vennero le lacrime, era
disperato.
Dopo
un po’ ebbe sonno e si adagiò ai piedi della statua per riposare.
Appena si fu addormentato, Andrea sognò proprio san Martino che gli
andava incontro nel prato che stava al margine del bosco dei
castagni. Andrea gli si avvicinò subito supplicandolo affinché
potesse farlo uscire dalla cappella.
Martino
si commosse e gli rispose che aveva intercesso per lui presso il buon
Dio, ma poteva liberarlo a una sola condizione: Andrea doveva
impegnarsi a non rivelare a nessuno né l’esistenza della statua,
né il luogo dove si trovava la cappella finita sottoterra. Il
garzone diede subito la sua parola mentre Martino lo benediva. Quando
riaprì gli occhi, Andrea si accorse che era ormai giorno e che lui
si trovava nel prato ai margini del bosco di castagni, proprio dove,
nel sogno, aveva incontrato Martino. Pensò che allora era tutto un
sogno, ma per accertarsene, con molta attenzione si avvicinò al
primo albero del bosco e, proprio sotto una radice, scorse l’ingresso
di una cavità: guardandovi dentro, con sua meraviglia, comprese che
non aveva sognato la statua tutta d’oro, perché quel foro mostrava
l’interno di una cappella dove, nel fondo, era collocata la statua
di Martino. E la statua luccicava proprio come fosse tutta d’oro!
Andrea però si ricordò anche della promessa che aveva fatto al
Santo e così si allontanò, rinunciando a ogni proposito di
impadronirsi della statua.
Passarono
giorni, e poi settimane e anche mesi. Ma più il tempo passava e più
i pensieri di Andrea andavano alla statua d’oro e alla promessa che
aveva fatto di non rivelare mai quel segreto.
"Se
però non lo dico proprio a nessuno - si disse tra sé un giorno
Andrea - finirò per diventare pazzo". Mantenere il segreto gli
costava veramente troppo.
Una
sera, appena uscito dal mulino, si recò per una commissione presso
alcuni suoi parenti che abitavano in un palazzo chiamato Galitti, e
lungo la strada, mentre pensava e ripensava alla statua, si fermò a
sedere su un masso nei pressi della cava Bonati. Nei paraggi non
c’era nessuno e allora, rivolgendosi a un masso che gli stava di
fronte disse:
"A
te che non hai orecchie per ascoltare e bocca per parlare, voglio
confidare un segreto che mi sta distruggendo l’anima. Sento che
fino a quando non svelerò quello che so sulla statua di san Martino,
mai avrò pace".
Avvicinatosi
al masso che dal suolo si alzava per quasi due metri, e messe le mani
a mo’ di imbuto, per tre volte mormorò alla pietra queste parole:
"La
statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea,
garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
Detto
questo, il giovane si sentì come liberato e pensò che mai avrebbe
avuto la tentazione di rivelare ad anima viva quel segreto diventato,
per lui, terribile.
Dopo
non molto tempo, però, un cavatore del luogo, di nome Matteo, fu
incaricato di fabbricare una colonnina in pietra per una fontana da
realizzare nella piazzetta del borgo, e scelse proprio quel masso a
cui Andrea aveva confidato l’esistenza della statua di san Martino.
Fu così che, con l’aiuto di altri cavatori, caricò il masso sul
proprio carretto, per portarselo nella sua bottega.
Attorno
a quel masso Matteo lavorò con impegno e ottenne la desiderata
colonnina per la fontana della piazzetta. I notabili del borgo
avevano deciso di inaugurare la fontana nel giorno dedicato alla
festa della Madonna del Rosario, che ad Apolline si festeggiava ogni
anno la seconda domenica di ottobre con una processione per le strade
del villaggio. Quando arrivò il giorno dell’inaugurazione, una
folla di pellegrini si radunò attorno alla fontana per assistere al
rito di benedizione. Svoltosi il rito, accadde un fatto prodigioso:
ogni volta che un pellegrino beveva dalla fontana si udiva una
misteriosa voce proveniente proprio dalla colonnina che diceva:
"La
statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea,
garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
In
breve tutto il villaggio di Apolline fu al corrente della notizia e
Andrea, un po’ frastornato e un po’ titubante, non potendo più
nascondere il suo segreto, accettò di guidare i capi famiglia del
villaggio al bosco del Carcavone. Lì trovarono la cavità che dava
sulla cappella, ma nessuna traccia della statua. All’imbrunire di
quel giorno stesso, però, non pochi uomini del luogo affermarono di
aver visto in cielo un cavaliere in sella a un destriero alato
luccicante come l'oro dirigersi verso il mare, verso l’isola
d’Ischia.
Sul
fiume Veseri, che dal monte Somma scorreva verso il golfo di Napoli,
in una località chiamata Santo Nastaso, vi era un mulino ad acqua
dove lavorava un garzone di nome Andrea. Il ragazzo si stancò presto
del duro lavoro, soprattutto per i maltrattamenti che subiva dal
padrone del mulino, e spesso si chiedeva in che modo avesse potuto
guadagnare tanti soldi, magari in poco tempo e senza sforzi
eccessivi.
Una
domenica, nei pressi di un'osteria del villaggio di Apolline, gli
capitò di ascoltare alcuni boscaioli che raccontavano la leggenda
della statua tutta d’oro di san Martino, la quale doveva trovarsi
ancora all’interno di una cappella, nel bosco del Carcavone,
sommersa da una valanga di fango nella notte dei tempi. Convinto che
non si trattasse di una semplice leggenda, e desideroso di trovare la
statua per fonderla e impadronirsi dell’oro, Andrea, appena ebbe
una giornata libera dal lavoro, si recò sul monte Somma e si mise
alla ricerca della cappella inoltrandosi nella parte più fitta del
bosco del Carcavone.
Per
tutta la giornata cercò e cercò finché, arrivato nei pressi di
alcuni castagni ai margini di una radura, avvertì il terreno
franargli sotto i piedi e si trovò a scivolare all’interno di una
stretta e fangosa cavità. Andò giù per diverse decine di metri e
quando si fermò capì che doveva trovarsi in una grotta. Appena si
alzò, urtò la testa contro qualcosa di duro. Cercando di guardare
nell’oscurità, Andrea notò un fascio di luce, proveniente
dall’apertura della cavità da cui era penetrato, che illuminava
debolmente il luogo dove si trovava e… con sua meraviglia vide
apparirgli davanti la statua di san Martino!
Il
santo e il cavallo, di grandezza naturale, erano completamente d’oro,
di oro massiccio. E lui era urtato contro lo zoccolo del cavallo
posizionato a mezz’aria. San Martino era in groppa al cavallo. Per
diversi minuti Andrea rimase a bocca aperta dallo stupore. Poi
un’incredibile gioia pervase tutto il suo corpo: al colmo della
felicità, credette di aver risolto tutti i suoi problemi, pensò che
non doveva più lavorare alla macina del mulino, che quella statua
era ora di sua proprietà e che era diventato ricco, così ricco da
poter competere con il re di quelle terre. Per circa un’ora non
fece che girare intorno alla statua, accarezzando il freddo oro.
La
sua gioia, però, svanì, anzi si tramutò in disperazione, quando si
accorse che vicino alla statua c’erano anche le ossa di altri
cercatori. Solo allora comprese che non solo non sarebbe riuscito a
portarsi via quella statua, ma che egli stesso non poteva più uscire
perché l’entrata era troppo alta ed egli non aveva con sé né una
corda né un arnese da usare per arrampicarsi. Ebbe il terrore della
morte, e pensò che di lì a poco la sua vita avrebbe avuto fine in
quella grotta, che non era altro che la cappella di san Martino
sommersa sotto tonnellate di terra. Gli vennero le lacrime, era
disperato.
Dopo
un po’ ebbe sonno e si adagiò ai piedi della statua per riposare.
Appena si fu addormentato, Andrea sognò proprio san Martino che gli
andava incontro nel prato che stava al margine del bosco dei
castagni. Andrea gli si avvicinò subito supplicandolo affinché
potesse farlo uscire dalla cappella.
Martino
si commosse e gli rispose che aveva intercesso per lui presso il buon
Dio, ma poteva liberarlo a una sola condizione: Andrea doveva
impegnarsi a non rivelare a nessuno né l’esistenza della statua,
né il luogo dove si trovava la cappella finita sottoterra. Il
garzone diede subito la sua parola mentre Martino lo benediva. Quando
riaprì gli occhi, Andrea si accorse che era ormai giorno e che lui
si trovava nel prato ai margini del bosco di castagni, proprio dove,
nel sogno, aveva incontrato Martino. Pensò che allora era tutto un
sogno, ma per accertarsene, con molta attenzione si avvicinò al
primo albero del bosco e, proprio sotto una radice, scorse l’ingresso
di una cavità: guardandovi dentro, con sua meraviglia, comprese che
non aveva sognato la statua tutta d’oro, perché quel foro mostrava
l’interno di una cappella dove, nel fondo, era collocata la statua
di Martino. E la statua luccicava proprio come fosse tutta d’oro!
Andrea però si ricordò anche della promessa che aveva fatto al
Santo e così si allontanò, rinunciando a ogni proposito di
impadronirsi della statua.
Passarono
giorni, e poi settimane e anche mesi. Ma più il tempo passava e più
i pensieri di Andrea andavano alla statua d’oro e alla promessa che
aveva fatto di non rivelare mai quel segreto.
"Se
però non lo dico proprio a nessuno - si disse tra sé un giorno
Andrea - finirò per diventare pazzo". Mantenere il segreto gli
costava veramente troppo.
Una
sera, appena uscito dal mulino, si recò per una commissione presso
alcuni suoi parenti che abitavano in un palazzo chiamato Galitti, e
lungo la strada, mentre pensava e ripensava alla statua, si fermò a
sedere su un masso nei pressi della cava Bonati. Nei paraggi non
c’era nessuno e allora, rivolgendosi a un masso che gli stava di
fronte disse:
"A
te che non hai orecchie per ascoltare e bocca per parlare, voglio
confidare un segreto che mi sta distruggendo l’anima. Sento che
fino a quando non svelerò quello che so sulla statua di san Martino,
mai avrò pace".
Avvicinatosi
al masso che dal suolo si alzava per quasi due metri, e messe le mani
a mo’ di imbuto, per tre volte mormorò alla pietra queste parole:
"La
statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea,
garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
Detto
questo, il giovane si sentì come liberato e pensò che mai avrebbe
avuto la tentazione di rivelare ad anima viva quel segreto diventato,
per lui, terribile.
Dopo
non molto tempo, però, un cavatore del luogo, di nome Matteo, fu
incaricato di fabbricare una colonnina in pietra per una fontana da
realizzare nella piazzetta del borgo, e scelse proprio quel masso a
cui Andrea aveva confidato l’esistenza della statua di san Martino.
Fu così che, con l’aiuto di altri cavatori, caricò il masso sul
proprio carretto, per portarselo nella sua bottega.
Attorno
a quel masso Matteo lavorò con impegno e ottenne la desiderata
colonnina per la fontana della piazzetta. I notabili del borgo
avevano deciso di inaugurare la fontana nel giorno dedicato alla
festa della Madonna del Rosario, che ad Apolline si festeggiava ogni
anno la seconda domenica di ottobre con una processione per le strade
del villaggio. Quando arrivò il giorno dell’inaugurazione, una
folla di pellegrini si radunò attorno alla fontana per assistere al
rito di benedizione. Svoltosi il rito, accadde un fatto prodigioso:
ogni volta che un pellegrino beveva dalla fontana si udiva una
misteriosa voce proveniente proprio dalla colonnina che diceva:
"La
statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea,
garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
In
breve tutto il villaggio di Apolline fu al corrente della notizia e
Andrea, un po’ frastornato e un po’ titubante, non potendo più
nascondere il suo segreto, accettò di [continua...].
(Tratto dal libro "La bambina della masseria Rutiglia". Per informazioni cliccare su La bambina della masseria Rutiglia di Carlo Silvano. Il volume "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio" si può reperire in formato digitale, cliccare: L'onda azzurra di Carlo Silvano)
lunedì 20 gennaio 2014
Pollena, Un ricordo di Carmela Ascione
Pollena Trocchia - Ieri ho appreso una brutta notizia: la scomparsa di Carmela Ascione avvenuta recentemente. Ho conosciuto Carmela alla fine degli anni Settanta quando facevo il chierichetto in parrocchia, e poi ho frequentato il suo "Cenacolo" che si riuniva proprio presso la sua abitazione al piano terra del convento delle Suore Compassioniste di via Cappelli.
La partecipazione al "Cenacolo" è stata un'esperienza molto importante per me ed è stato proprio in quell'ambiente che mi sono formato per ricevere il sacramento della Confermazione (1987).
Carmela è stata anche una colonna dell'Azione cattolica parrocchiale tra gli anni 1985-1988.
Credo che i suoi piccoli gesti e le sue semplici parole abbiano lasciato un'impronta indelebile in tante persone che, come me, hanno avuto la fortuna di incontrarla.
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