martedì 13 maggio 2014

Turismo, Vesuvio e dintorni

Rilanciare il turismo nell'area vesuviana non è semplice, eppure bisogna attivarsi in questa direzione per garantire una maggiore occupazione lavorativa e, soprattutto, la salvaguardia delle risorse naturali ed artistiche della zona. Sull'attività delle strutture alberghiere presenti nell'area vesuviana interviene, con questa breve intervista, il prof. Ciro Teodonno che da anni si occupa di ambiente e di promozione del Parco nazionale del Vesuvio e del monte Somma. Con le strutture alberghiere presenti nell'area vesuviana si potrebbe pensare ad invogliare i turisti interessati a restare in Campania per periodi medio-lunghi, così che abbiano la possibilità di visitare i siti archeologici, la città di Napoli con i suoi musei e a fare escursioni di un giorno in Costiera, nelle isole del golfo e nell'entroterra campano. 

Prof. Teodonno, attualmente nel Parco nazionale del Vesuvio quante e quali sono le strutture ricettive che possono accogliere i turisti desiderosi sia di trascorrere delle giornate passeggiando lungo i sentieri del parco che la città di Napoli?
Per quel che riguarda la ricettività vesuviana è questa abbastanza eterogenea per qualità e dislocazione, e spesso ricalca la situazione generale del contesto turistico vesuviano, quello che, in maniera unidirezionale, rivolge al Gran Cono tutta la sua attenzione. Buona parte degli hotel, per quel che mi è dato sapere, conservano una qualità di forniture e servizio nei limiti della decenza, rispettando le stelle di riferimento anche se, molte di queste strutture arrotondano e spesso sbarcano il lunario grazie all'uso delle stanze a mo' di albergo ad ore. In effetti, molto del turismo vesuviano è un turismo “mordi e fuggi”, proveniente dalle navi da crociera attraccate nel porto di Napoli o quello dei turisti ospiti in Costiera.
La triste realtà del turismo vesuviano esclude tutto ciò che non è Vesuvio e Gran Cono, e l'unica direttrice valida è quella della strada provinciale del Vesuvio che da Torre del Greco ed Ercolano sale al Vulcano. Lungo questo asse viario privilegiato si possono osservare i relitti di alcune attività di ristorazione e di accoglienza che non hanno retto il passo dei tempi e della grande alternativa turistica, o, forse, qualcuno non gliel'ha permesso. Su tutti spicca l'Eremo al Vesuvio la più antica delle strutture alberghiere vesuviane, ma in balia del vandalismo e del tempo. Comunque, tra gli hotel a quattro stelle, troviamo il complesso Quattro Venti di Ercolano, l'Hotel Augusto di Ottaviano, Il Castello a Terzigno e il Sakura/Mercure di Torre del Greco che, credo, sia ormai chiuso per le note vicende della "DEIULEMAR", gli armatori proprietari accusati di bancarotta fraudolenta. 

Ci sono anche alberghi a tre stelle?
Sì, come l'Albergo Santa Teresa a Torre del Greco, l'Eden Park Hotel Vesuvius a Ercolano, forse il più alto tra tutti gli hotel e di recente riaperto; c'è poi l'Holidays Hotel a Torre del Greco, l'Hotel Faraone a Cercola, forse il meno vesuviano di tutti per distanza dal Vulcano e il suo Parco Nazionale; abbiamo ancora l'Hotel Il Rosone a Trecase, La Giara a Boscotrecase, e l'ottimo Marad Hotel a Torre del Greco; infine Villa Signorini e Villa Aprile a Ercolano.

In zona operano anche ostelli e bed & breakfast?
Tra gli ostelli che segnalo c'è il Bel Vesuvio Inn a San Sebastiano, Casa Cerciello a Somma Vesuviana, Fiume di Pietra a Ercolano, che credo sia il più vicino al Cratere nella sua tipologia, Il Cavaliere a Massa di Somma, La Genet di Torre del Greco, La Murena a Ercolano, La Vigna a Pollena Trocchia, Villa Patrizia a Ercolano e l'Albergo del Pellegrino presso il santuario di Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia.

Un tempo - giusto per fare un po' di storia - era molto conosciuto l'Hotel Eremo...

E' una struttura che si trova a circa 600 metri sul livello del mare lungo la strada provinciale e fu costruito nel 1902 da John Mason Cook, armatore inglese e proprietario della Ferrovia del Vesuvio e della Funicolare al Gran Cono che compendiavano tutto il sistema d'accesso su rotaia al Cratere. L'Eremo sorge ancora oggi tra Colle Umberto e il Colle del Salvatore, là dove forse esisteva la dimora di un fantomatico eremita produttore di frittate, che vendeva ai turisti del Gran Tour e a poca distanza dalla chiesa del Salvatore, un ex voto degli appestati del 1656, e la sede storica dell'Osservatorio Vesuviano. La struttura era dotata di 32 camere e strutturato su due piani più un ampio solaio. Chiuse la sua quasi centenaria attività, negli anni '90, dopo eruzioni vulcaniche, guerre, abusi edilizi e le vicende opache della nostra storia. Il suo ultimo proprietario fu un certo commendator Mario Paudice. Le ultime notizie lo vorrebbero destinato a ostello per seminaristi, ma il tutto rimane ancora nel vago. La zona dell'Eremo è inoltre circondata da antenne radiotelevisive che rendono il luogo insalubre anche se un comitato locale si sta battendo per la bonifica di quel luogo e tutta la zona di Contrada Osservatorio dovrebbe rientrare in una serie di provvedimenti comunali e del Parco Nazionale che dovrebbero riqualificarne stato e funzione, ma questa è un'altra storia che non sappiamo se mai vedremo realizzare. Resta il rammarico della costatazione di un luogo storico e panoramico lasciato alle intemperie e al vandalismo. (a cura di carlo Silvano)

sabato 19 aprile 2014

Pollena Trocchia, La leggenda di San Martino al Carcavone

Ai lettori di questo blog propongo la lettura di una leggenda che ho raccolto anni fa e riguardante San Martino. Ho inserito questo testo in due brevi romanzi: "La bambina della masseria Rutiglia", pubblicato con Youcanprint, e "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio" con le Edizioni del noce.

Sul fiume Veseri, che dal monte Somma scorreva verso il golfo di Napoli, in una località chiamata Santo Nastaso, vi era un mulino ad acqua dove lavorava un garzone di nome Andrea. Il ragazzo si stancò presto del duro lavoro, soprattutto per i maltrattamenti che subiva dal padrone del mulino, e spesso si chiedeva in che modo avesse potuto guadagnare tanti soldi, magari in poco tempo e senza sforzi eccessivi.
Una domenica, nei pressi di un'osteria del villaggio di Apolline, gli capitò di ascoltare alcuni boscaioli che raccontavano la leggenda della statua tutta d’oro di san Martino, la quale doveva trovarsi ancora all’interno di una cappella, nel bosco del Carcavone, sommersa da una valanga di fango nella notte dei tempi. Convinto che non si trattasse di una semplice leggenda, e desideroso di trovare la statua per fonderla e impadronirsi dell’oro, Andrea, appena ebbe una giornata libera dal lavoro, si recò sul monte Somma e si mise alla ricerca della cappella inoltrandosi nella parte più fitta del bosco del Carcavone.
Per tutta la giornata cercò e cercò finché, arrivato nei pressi di alcuni castagni ai margini di una radura, avvertì il terreno franargli sotto i piedi e si trovò a scivolare all’interno di una stretta e fangosa cavità. Andò giù per diverse decine di metri e quando si fermò capì che doveva trovarsi in una grotta. Appena si alzò, urtò la testa contro qualcosa di duro. Cercando di guardare nell’oscurità, Andrea notò un fascio di luce, proveniente dall’apertura della cavità da cui era penetrato, che illuminava debolmente il luogo dove si trovava e… con sua meraviglia vide apparirgli davanti la statua di san Martino!
Il santo e il cavallo, di grandezza naturale, erano completamente d’oro, di oro massiccio. E lui era urtato contro lo zoccolo del cavallo posizionato a mezz’aria. San Martino era in groppa al cavallo. Per diversi minuti Andrea rimase a bocca aperta dallo stupore. Poi un’incredibile gioia pervase tutto il suo corpo: al colmo della felicità, credette di aver risolto tutti i suoi problemi, pensò che non doveva più lavorare alla macina del mulino, che quella statua era ora di sua proprietà e che era diventato ricco, così ricco da poter competere con il re di quelle terre. Per circa un’ora non fece che girare intorno alla statua, accarezzando il freddo oro.
La sua gioia, però, svanì, anzi si tramutò in disperazione, quando si accorse che vicino alla statua c’erano anche le ossa di altri cercatori. Solo allora comprese che non solo non sarebbe riuscito a portarsi via quella statua, ma che egli stesso non poteva più uscire perché l’entrata era troppo alta ed egli non aveva con sé né una corda né un arnese da usare per arrampicarsi. Ebbe il terrore della morte, e pensò che di lì a poco la sua vita avrebbe avuto fine in quella grotta, che non era altro che la cappella di san Martino sommersa sotto tonnellate di terra. Gli vennero le lacrime, era disperato.
Dopo un po’ ebbe sonno e si adagiò ai piedi della statua per riposare. Appena si fu addormentato, Andrea sognò proprio san Martino che gli andava incontro nel prato che stava al margine del bosco dei castagni. Andrea gli si avvicinò subito supplicandolo affinché potesse farlo uscire dalla cappella.
Martino si commosse e gli rispose che aveva intercesso per lui presso il buon Dio, ma poteva liberarlo a una sola condizione: Andrea doveva impegnarsi a non rivelare a nessuno né l’esistenza della statua, né il luogo dove si trovava la cappella finita sottoterra. Il garzone diede subito la sua parola mentre Martino lo benediva. Quando riaprì gli occhi, Andrea si accorse che era ormai giorno e che lui si trovava nel prato ai margini del bosco di castagni, proprio dove, nel sogno, aveva incontrato Martino. Pensò che allora era tutto un sogno, ma per accertarsene, con molta attenzione si avvicinò al primo albero del bosco e, proprio sotto una radice, scorse l’ingresso di una cavità: guardandovi dentro, con sua meraviglia, comprese che non aveva sognato la statua tutta d’oro, perché quel foro mostrava l’interno di una cappella dove, nel fondo, era collocata la statua di Martino. E la statua luccicava proprio come fosse tutta d’oro! Andrea però si ricordò anche della promessa che aveva fatto al Santo e così si allontanò, rinunciando a ogni proposito di impadronirsi della statua.
Passarono giorni, e poi settimane e anche mesi. Ma più il tempo passava e più i pensieri di Andrea andavano alla statua d’oro e alla promessa che aveva fatto di non rivelare mai quel segreto.
"Se però non lo dico proprio a nessuno - si disse tra sé un giorno Andrea - finirò per diventare pazzo". Mantenere il segreto gli costava veramente troppo.
Una sera, appena uscito dal mulino, si recò per una commissione presso alcuni suoi parenti che abitavano in un palazzo chiamato Galitti, e lungo la strada, mentre pensava e ripensava alla statua, si fermò a sedere su un masso nei pressi della cava Bonati. Nei paraggi non c’era nessuno e allora, rivolgendosi a un masso che gli stava di fronte disse:
"A te che non hai orecchie per ascoltare e bocca per parlare, voglio confidare un segreto che mi sta distruggendo l’anima. Sento che fino a quando non svelerò quello che so sulla statua di san Martino, mai avrò pace".
Avvicinatosi al masso che dal suolo si alzava per quasi due metri, e messe le mani a mo’ di imbuto, per tre volte mormorò alla pietra queste parole:
"La statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea, garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
Detto questo, il giovane si sentì come liberato e pensò che mai avrebbe avuto la tentazione di rivelare ad anima viva quel segreto diventato, per lui, terribile.
Dopo non molto tempo, però, un cavatore del luogo, di nome Matteo, fu incaricato di fabbricare una colonnina in pietra per una fontana da realizzare nella piazzetta del borgo, e scelse proprio quel masso a cui Andrea aveva confidato l’esistenza della statua di san Martino. Fu così che, con l’aiuto di altri cavatori, caricò il masso sul proprio carretto, per portarselo nella sua bottega.
Attorno a quel masso Matteo lavorò con impegno e ottenne la desiderata colonnina per la fontana della piazzetta. I notabili del borgo avevano deciso di inaugurare la fontana nel giorno dedicato alla festa della Madonna del Rosario, che ad Apolline si festeggiava ogni anno la seconda domenica di ottobre con una processione per le strade del villaggio. Quando arrivò il giorno dell’inaugurazione, una folla di pellegrini si radunò attorno alla fontana per assistere al rito di benedizione. Svoltosi il rito, accadde un fatto prodigioso: ogni volta che un pellegrino beveva dalla fontana si udiva una misteriosa voce proveniente proprio dalla colonnina che diceva:
"La statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea, garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
In breve tutto il villaggio di Apolline fu al corrente della notizia e Andrea, un po’ frastornato e un po’ titubante, non potendo più nascondere il suo segreto, accettò di guidare i capi famiglia del villaggio al bosco del Carcavone. Lì trovarono la cavità che dava sulla cappella, ma nessuna traccia della statua. All’imbrunire di quel giorno stesso, però, non pochi uomini del luogo affermarono di aver visto in cielo un cavaliere in sella a un destriero alato luccicante come l'oro dirigersi verso il mare, verso l’isola d’Ischia.
Sul fiume Veseri, che dal monte Somma scorreva verso il golfo di Napoli, in una località chiamata Santo Nastaso, vi era un mulino ad acqua dove lavorava un garzone di nome Andrea. Il ragazzo si stancò presto del duro lavoro, soprattutto per i maltrattamenti che subiva dal padrone del mulino, e spesso si chiedeva in che modo avesse potuto guadagnare tanti soldi, magari in poco tempo e senza sforzi eccessivi.
Una domenica, nei pressi di un'osteria del villaggio di Apolline, gli capitò di ascoltare alcuni boscaioli che raccontavano la leggenda della statua tutta d’oro di san Martino, la quale doveva trovarsi ancora all’interno di una cappella, nel bosco del Carcavone, sommersa da una valanga di fango nella notte dei tempi. Convinto che non si trattasse di una semplice leggenda, e desideroso di trovare la statua per fonderla e impadronirsi dell’oro, Andrea, appena ebbe una giornata libera dal lavoro, si recò sul monte Somma e si mise alla ricerca della cappella inoltrandosi nella parte più fitta del bosco del Carcavone.
Per tutta la giornata cercò e cercò finché, arrivato nei pressi di alcuni castagni ai margini di una radura, avvertì il terreno franargli sotto i piedi e si trovò a scivolare all’interno di una stretta e fangosa cavità. Andò giù per diverse decine di metri e quando si fermò capì che doveva trovarsi in una grotta. Appena si alzò, urtò la testa contro qualcosa di duro. Cercando di guardare nell’oscurità, Andrea notò un fascio di luce, proveniente dall’apertura della cavità da cui era penetrato, che illuminava debolmente il luogo dove si trovava e… con sua meraviglia vide apparirgli davanti la statua di san Martino!
Il santo e il cavallo, di grandezza naturale, erano completamente d’oro, di oro massiccio. E lui era urtato contro lo zoccolo del cavallo posizionato a mezz’aria. San Martino era in groppa al cavallo. Per diversi minuti Andrea rimase a bocca aperta dallo stupore. Poi un’incredibile gioia pervase tutto il suo corpo: al colmo della felicità, credette di aver risolto tutti i suoi problemi, pensò che non doveva più lavorare alla macina del mulino, che quella statua era ora di sua proprietà e che era diventato ricco, così ricco da poter competere con il re di quelle terre. Per circa un’ora non fece che girare intorno alla statua, accarezzando il freddo oro.
La sua gioia, però, svanì, anzi si tramutò in disperazione, quando si accorse che vicino alla statua c’erano anche le ossa di altri cercatori. Solo allora comprese che non solo non sarebbe riuscito a portarsi via quella statua, ma che egli stesso non poteva più uscire perché l’entrata era troppo alta ed egli non aveva con sé né una corda né un arnese da usare per arrampicarsi. Ebbe il terrore della morte, e pensò che di lì a poco la sua vita avrebbe avuto fine in quella grotta, che non era altro che la cappella di san Martino sommersa sotto tonnellate di terra. Gli vennero le lacrime, era disperato.
Dopo un po’ ebbe sonno e si adagiò ai piedi della statua per riposare. Appena si fu addormentato, Andrea sognò proprio san Martino che gli andava incontro nel prato che stava al margine del bosco dei castagni. Andrea gli si avvicinò subito supplicandolo affinché potesse farlo uscire dalla cappella.
Martino si commosse e gli rispose che aveva intercesso per lui presso il buon Dio, ma poteva liberarlo a una sola condizione: Andrea doveva impegnarsi a non rivelare a nessuno né l’esistenza della statua, né il luogo dove si trovava la cappella finita sottoterra. Il garzone diede subito la sua parola mentre Martino lo benediva. Quando riaprì gli occhi, Andrea si accorse che era ormai giorno e che lui si trovava nel prato ai margini del bosco di castagni, proprio dove, nel sogno, aveva incontrato Martino. Pensò che allora era tutto un sogno, ma per accertarsene, con molta attenzione si avvicinò al primo albero del bosco e, proprio sotto una radice, scorse l’ingresso di una cavità: guardandovi dentro, con sua meraviglia, comprese che non aveva sognato la statua tutta d’oro, perché quel foro mostrava l’interno di una cappella dove, nel fondo, era collocata la statua di Martino. E la statua luccicava proprio come fosse tutta d’oro! Andrea però si ricordò anche della promessa che aveva fatto al Santo e così si allontanò, rinunciando a ogni proposito di impadronirsi della statua.
Passarono giorni, e poi settimane e anche mesi. Ma più il tempo passava e più i pensieri di Andrea andavano alla statua d’oro e alla promessa che aveva fatto di non rivelare mai quel segreto.
"Se però non lo dico proprio a nessuno - si disse tra sé un giorno Andrea - finirò per diventare pazzo". Mantenere il segreto gli costava veramente troppo.
Una sera, appena uscito dal mulino, si recò per una commissione presso alcuni suoi parenti che abitavano in un palazzo chiamato Galitti, e lungo la strada, mentre pensava e ripensava alla statua, si fermò a sedere su un masso nei pressi della cava Bonati. Nei paraggi non c’era nessuno e allora, rivolgendosi a un masso che gli stava di fronte disse:
"A te che non hai orecchie per ascoltare e bocca per parlare, voglio confidare un segreto che mi sta distruggendo l’anima. Sento che fino a quando non svelerò quello che so sulla statua di san Martino, mai avrò pace".
Avvicinatosi al masso che dal suolo si alzava per quasi due metri, e messe le mani a mo’ di imbuto, per tre volte mormorò alla pietra queste parole:
"La statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea, garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
Detto questo, il giovane si sentì come liberato e pensò che mai avrebbe avuto la tentazione di rivelare ad anima viva quel segreto diventato, per lui, terribile.
Dopo non molto tempo, però, un cavatore del luogo, di nome Matteo, fu incaricato di fabbricare una colonnina in pietra per una fontana da realizzare nella piazzetta del borgo, e scelse proprio quel masso a cui Andrea aveva confidato l’esistenza della statua di san Martino. Fu così che, con l’aiuto di altri cavatori, caricò il masso sul proprio carretto, per portarselo nella sua bottega.
Attorno a quel masso Matteo lavorò con impegno e ottenne la desiderata colonnina per la fontana della piazzetta. I notabili del borgo avevano deciso di inaugurare la fontana nel giorno dedicato alla festa della Madonna del Rosario, che ad Apolline si festeggiava ogni anno la seconda domenica di ottobre con una processione per le strade del villaggio. Quando arrivò il giorno dell’inaugurazione, una folla di pellegrini si radunò attorno alla fontana per assistere al rito di benedizione. Svoltosi il rito, accadde un fatto prodigioso: ogni volta che un pellegrino beveva dalla fontana si udiva una misteriosa voce proveniente proprio dalla colonnina che diceva:
"La statua tutta d’oro di san Martino esiste veramente e Andrea, garzone del mulino di Santo Nastaso, sa dov’è!".
In breve tutto il villaggio di Apolline fu al corrente della notizia e Andrea, un po’ frastornato e un po’ titubante, non potendo più nascondere il suo segreto, accettò di [continua...].

(Tratto dal libro "La bambina della masseria Rutiglia". Per informazioni cliccare su La bambina della masseria Rutiglia di Carlo Silvano. Il volume "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio" si può reperire in formato digitale, cliccare: L'onda azzurra di Carlo Silvano)

lunedì 20 gennaio 2014

Pollena, Un ricordo di Carmela Ascione

Pollena Trocchia - Ieri ho appreso una brutta notizia: la scomparsa di Carmela Ascione avvenuta recentemente. Ho conosciuto Carmela alla fine degli anni Settanta quando facevo il chierichetto in parrocchia, e poi ho frequentato il suo "Cenacolo" che si riuniva proprio presso la sua abitazione al piano terra del convento delle Suore Compassioniste di via Cappelli.
La partecipazione al "Cenacolo" è stata un'esperienza molto importante per me ed è stato proprio in quell'ambiente che mi sono formato per ricevere il sacramento della Confermazione (1987). 
Carmela è stata anche una colonna dell'Azione cattolica parrocchiale tra gli anni 1985-1988. 
Credo che i suoi piccoli gesti e le sue semplici parole abbiano lasciato un'impronta indelebile in tante persone che, come me, hanno avuto la fortuna di incontrarla. 

sabato 28 dicembre 2013

Il monte Somma visto dal rione Tartaglia

Il monte Somma visto questa mattina dalla finestra della mia camera di Pollena...




giovedì 26 dicembre 2013

Contro il gioco illegale e... legale

Ieri - nella parrocchia dei Padri Salesiani di Portici - ho visto questo manifesto che propongo anche ai visitatori di questo blog con l'augurio che anche i Sindaci di Pollena Trocchia, Cercola, Massa di Somma e Sant'Anastasia aderiscano all'iniziativa.

domenica 8 dicembre 2013

Consiglio la lettura di un articolo a firma di Ciro Teodonno dedicato al problema dei rifiuti urbani tra San Sebastiano al Vesuvio e San Giorgio a Cremano. Ecco il link...

http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=7670

venerdì 18 ottobre 2013

Parco del Vesuvio, Non solo bellezze naturali...

Lo scorso mese di luglio, durante una visita all'Osservatorio vesuviano, percorrendo la strada provinciale che da Ercolano conduce al cratere del Vesuvio, sono rimasto sorpreso nel notare la presenza di alcune statue poste ai margini della strada. Si tratta di opere d'arte che, a mio avviso, poco o nulla hanno a che fare col paesaggio circostante ricco ginestre e pinete, con paesaggi mozzafiato del golfo di Napoli. Per sapere qualcosa su queste statue mi sono rivolto al prof. Ciro Teodonno, profondo conoscitore del Parco Nazionale del Vesuvio che mi ha rilasciato l'intervista che segue.

Prof. Teodonno, quando sono state collocate le statue che troviamo lungo la strada che conduce al Vesuvio?
Le statue, o meglio il museo all'aperto Creator Vesevo, come viene definito, vide la luce il 29 ottobre del 2005. Il direttore artistico dell'epoca, Jean-Noël Schifano, già direttore dell'Istituto Grenoble di Napoli, commissionò, assieme al comune di Ercolano, artisti di fama internazionale per l'allestimento lungo la Provinciale che conduce da Ercolano al Cratere.


In genere queste opere cosa rappresentano?
Le opere sono eterogenee per forma, per stile e per “contenuto” e rappresentano la visione in pietra lavica del Vulcano, la visione di ognuno degli artisti incaricati. Listening with eyes accoglie i turisti all'incrocio di via Vesuvio e via San Vito con la Provinciale, è una grande ciucciuvettola realizzata dall’olandese Mark Brusse, è l’opera che inaugura il percorso di Creator Vesevo
Segue il Totem di Dimas Macedo; il terzo lavoro è L’Antenato di Velickovic, un enorme teschio appoggiato di lato e che sembra guardarti con orrore e ammonimento. Subito dopo è la volta de Il Tempo inesorabile del tedesco Grutzke
Gli Occhi del Vesuvio, del napoletano Lello Esposito, rappresentano una grande maschera di Pulcinella, tema ricorrente dell'artista partenopeo. Abbiamo poi, presso un edificio di proprietà della Provincia e in passato anche sede di una sorta di “info-point” del Parco, Terra Vivax, dell’islandese Rùrì, unica donna tra gli artisti presenti. 
In un tornante, il più volte imbrattato Torso del Vesuvio dello spagnolo Miguel Berrocal.
In faccia al Vesuvio di Denis Monfleur, mostra una famigliola pietrificata davanti alla maestosità del Vulcano o più probabilmente davanti alla barbarie dei vesuviani. Icaro, di Antonio Seguì, sconcerta i più per il suo aspetto ironicamente fumettistico e che inebetiti c'introduce al più classico L’angelo di fuoco, di Alexandros Fassianos.
Evitando giudizi che ognuno di noi può formulare su queste statue, ci si chiede, però, se ha un senso collocare all'interno di un parco naturale questo genere di opere. Lei cosa ne pensa?
In un Parco Nazionale dove lo Stato ha aperto discariche, e dove è tutt'ora latitante, è certo che l'impatto di quelle statue, per quanto opinabile per qualcuno, è da ritenersi nullo e certo non deleterio. Il problema è che le stesse opere sono state oggetto di atti vandalici e persistono in un contesto di estremo squallore. La storia è sempre la stessa, qualcuno decide di fare una cosa, si trovano i soldi per farla, perché per farsi belli i soldi si trovano sempre, ma poi, nessuno pensa a continuarla o, come in questo caso, nessuno decide di curarla. Ogni giorno i bus dei turisti salgono lungo la strada provinciale che ospita quelle sculture, e ogni giorno che nasce, dietro la sagoma azzurrognola del Cratere, la sua luce mostra al mondo intero quanto valga per noi il nostro patrimonio naturale e culturale; ogni angolo della strada, compresi quelli vicini alle statue, sono insozzati dai residui delle coppiette che lì si appartano. Rifiuti che il vento diffonderà e che ovviamente nessuno andrà mai a raccogliere.
Dunque, se dipendesse da lei, le farebbe rimuovere?
No! Non le farei rimuovere, non tutte mi piacciono, del resto l'arte si nutre di molta soggettività, ma tutto sommato in un paese normale queste starebbero anche bene sui margini di una strada e del resto, meglio quelle statue che i vecchi abusi edilizi, i ruderi, la monnezza, le discariche e quanto di peggio sappiamo offrire a chi ci viene a trovare.
(a cura di Carlo Silvano)