(copertina seconda edizione)
Recentemente ho pubblicato la seconda edizione del romanzo breve intitolato "La bambina della masseria Rutiglia", ambientato durante il Secondo conflitto mondiale nei comuni vesuviani di Pollena Trocchia e Cercola.
Rispetto alla prima edizione (che resta in commercio a disposizione
dei lettori), la nuova edizione è arricchita con una prefazione
scritta dalla professoressa Angela Rosauro (Dirigente scolastico
dell’Istituto comprensivo di Pollena Trocchia), ha un nuovo
capitolo e una nuova veste tipografica.
La protagonista di
questo breve romanzo è una bimba curiosa: i suoi occhi si soffermano
sulle immagini familiari e della propria comunità di appartenenza,
che rievocano i momenti più importanti della propria infanzia
vissuta nella campagna vesuviana, durante gli anni più cruenti del
conflitto mondiale, con le rappresaglie dei nazisti, l’affondamento
nel porto di Napoli della motonave “Caterina Costa”, l’eruzione
del Vesuvio del 1944 e la sciagura ferroviaria verificatasi nella
stazione di Cercola il 21 dicembre del 1941.
Le pagine di questo
volume non riportano una storia biografica, bensì aneddoti della
vita della protagonista, Carmelina, e anche di alcuni personaggi
locali, che mi hanno ispirato e che ho voluto dar loro una dimensione
concreta, in un passato che è arrivato a noi solo attraverso i
ricordi.
Qui di seguito propongo la prefazione alla seconda edizione a firma della prof. Angela Rosauro.
Prefazione
di
Angela
Rosauro
“Si
cammina nella vita
con la mano
nella mano
di una persona;
poi, a un tratto,
questa persona
scompare là dove non c’è un dove, e tu stesso ti fermi davanti a
quell’abisso
e ci guardi dentro. E io ci ho guardato” (da “Guerra
e pace”
di Lev
Tolstoj).
E
Carlo Silvano ha affondato lo sguardo nello spazio inerte di quella
inappellabile distanza accettandone la sfida, e con la mitezza che lo
contraddistingue ha saputo riconoscere quelle orme profonde, impresse
nella memoria lasciando loro il compito di condurlo e di condurci
lungo il tragitto: è appena l’alba e Carmelina s’incammina lungo
il viottolo che la condurrà a casa, con il suo fiasco
di
latte, intenta a non inciampare nelle tante buche e pozzanghere che
le si parano innanzi. Questa è l’immagine che ci offre l’autore
nell’incipit e che sussume motivazioni, sentimenti e significati di
questo lavoro: l’alba, quel breve momento in cui il cielo scolora e
annuncia il nuovo giorno, è la cornice temporale ideale ad
accompagnare il cammino della piccola protagonista. Il viottolo e il
paesaggio che attraversa così ben descritti sono arricchiti di
particolari che ne vivacizzano l’andatura lasciandone trasparire le
bellezze e le difficoltà: le buche alle quali porre attenzione, ma
anche i dolci frutti e le colorate corolle dei fiori non sono certo
meri orpelli, quanto piuttosto elementi animati
che
la bambina e poi donna incontra, evita, raccoglie, vive lungo il
corso della vita. Il sentimento che pervade lo sguardo dell’autore
è il senso di gratitudine filiale per quel latte,
segno inequivocabile di nutrimento e vita, trasportato dalla bimba
nel ritorno a casa, metafora di un sentimento materno di protezione e
cura, di cui egli ne è stato amorevole testimone. Tutto il racconto
è un susseguirsi d’immagini e ricordi, dove le coordinate
spazio-temporali si distanziano pur conservando perimetri
riconoscibili: la masseria
assieme
a poche altre ormai, sono ancora lì con le loro strutture tipiche
che ci raccontano di un tempo scandito dal susseguirsi delle stagioni
che disciplinavano il lavoro dei campi; sono lì, testimoni di una
vita sociale molto lontana dai modelli post
moderni in
cui le generazioni successive si sono trasformate; vita semplice, di
persone semplici, riunite intorno al nucleo familiare dove ogni
elemento svolgeva il proprio ruolo e mansione in funzione della
sopravvivenza e crescita della famiglia; sono lì, qualcuna, tra le
tante ormai aggredite dal tempo e dall’incuria, ancora presenta le
ferite di una guerra terribile che raggiunse anche i luoghi più
reconditi senza risparmiare alcunché, e soprattutto lasciando ferite
ben più profonde negli animi di coloro che ebbero la sventura di
viverla.

(copertina dalle prima edizione)
Carmelina
è una bambina di guerra come le tante delle guerre lontane dei
nostri tempi che ci commuovono per la loro indifesa innocenza violata
dalle brutture e dalle violenze. Carmelina è una di quelle: bambina
costretta a diventare grande prima del tempo, a fare i conti con il
pericolo e la morte prima ancora di conoscere la vita o meglio avendo
conosciuto solo quella, quella
è
la sua vita. Impara
presto Carmelina come tutti i bambini di guerra, impara che c’è un
prima e c’è un dopo; c’era la scuola con la maestra e le sue
dolci caramelle di more, c’era il pane impastato dalla mamma che
bastava tutta la settimana, c’era Luigi che per finta spaventava le
ragazzine e poi, pur nella povertà, quella semplice vita ad un
tratto era sparita, tutto era cambiato. Era arrivata la guerra, non
quella ascoltata per radio o dalla voce di qualche adulto che
“capiva”, era arrivata la guerra quella vera, quella dei morti e
della fame che non fa sconti a nessuno. Il dopo di Carmelina duro e
triste come quello di tanti altri, era fatto di fame, quella che con
i suoi morsi non la lasciava dormire, di fatica per raccogliere tutti
i giorni rape nella terra gelida di quell’inverno rigido, di
nostalgia per quei giorni allegri di scuola che ora apparivano
lontani come sogni. Ora la sua vita è questo: portare il latte a
casa al più presto, mangiare, riscaldarsi, sopravvivere…
“…lei
sapeva già cosa l’attendeva: appena sarebbe entrata in casa
avrebbe scorso sua madre intenta a lavorare con solerzia stando
seduta davanti alla macchina da cucire, mentre suo padre con lo
sguardo preoccupato, stava in piedi,
davanti
alla finestra a scrutare il cielo che prometteva una giornata di
pioggia e anche una giornata senza lavoro e senza paga… le sue
sorelle che si sarebbero alzate tutte dai loro giacigli per andarle
incontro, per bollire il latte e fare colazione stando attorno al
povero tavolo l’una stretta all’altra… La madre, intanto,
avrebbe continuato a lavorare con gli occhi fissi sull’ago e sul
cotone e il padre a scrutare e a interrogare un cielo che non
prometteva nulla di buono…”.
Con
poche frasi, leggere pennellate l’autore ci prende per mano e ci
lascia entrare con la piccola Carmelina nella sua umile casa:
possiamo vedere le mura disadorne appena illuminate dalla luce fredda
di un’alba piovosa, possiamo sentire il freddo di quell’inverno
del 1943 che avvolge e intirizzisce l’intera famigliola, possiamo
ascoltare il fragore tonante del cannone antiaereo, emblema di una
guerra ancora lunga da finire, possiamo avvertire la silenziosa
dignità di un popolo che attraverserà la miseria e la disumanità
di una guerra orribile per consegnare ai suoi figli il messaggio
della speranza della pace fra gli uomini. “I
bambini che hanno visto la guerra sono l’unica speranza di pace”
(Karol Wojtyla) e la bambina della masseria Rutiglia
ancora
oggi ci parla e ci rammenta il nostro compito irrinunciabile di
sentinelle della memoria perché nessun bambino, nessuno più abbia
da sopportare tali atrocità.
Pollena
Trocchia,
ottobre
2021