lunedì 9 settembre 2024

Napoli: una città di contrasti

 


Napoli: una città di contrasti

Napoli è una città unica, un vero gioiello incastonato tra il mare e il Vesuvio. Ogni angolo racconta storie antiche, dall’arte che adorna i vicoli ai monumenti che svettano fieri. Qui troviamo la bellezza della nostra storia e la calorosa umanità che ci caratterizza. Ma c’è un lato oscuro che non possiamo ignorare: le tante emergenze sociali che affliggono la nostra città.

È vergognoso e straziante vedere persone che frugano tra i rifiuti per sopravvivere, o che dormono su cartoni nelle aiuole pubbliche, dimenticati da tutti. La realtà di molti cittadini napoletani è quella di vivere chiusi in casa perché non hanno alcuna fonte di reddito e patiscono tante privazioni. Sono cittadini costretti a vivere ai margini in una terra che, paradossalmente, ha tanto da offrire.

In questo contesto, parlare di accoglienza per chi arriva dall’Africa o da altre aree povere del mondo sembra quasi una beffa. Non fraintendetemi: l’accoglienza è un valore fondamentale, ma come possiamo offrire un futuro dignitoso a chi arriva se non riusciamo nemmeno a garantire una vita decente ai nostri concittadini? Troppo spesso, a queste persone non possiamo dare altro che un assistenzialismo vuoto, senza un reale percorso di integrazione e opportunità concrete.

Napoli merita di meglio. I nostri cittadini meritano di meglio. E anche chi arriva qui merita di trovare una città pronta ad accoglierli davvero, con dignità e rispetto, non solo con buone intenzioni. È tempo di affrontare queste emergenze con serietà e concretezza, per una Napoli che sappia essere davvero all’altezza della sua storia e della sua umanità. (a cura di Carlo Silvano)


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domenica 8 settembre 2024

Una ragazza da amare, Una giornata a Napoli

 

Ripensando al romanzo “Una ragazza da amare” ho scritto il testo che segue utilizzando gli stessi protagonisti.
 
Napoli, primi anni Ottanta, una mattina di marzo che promette sole e tepore dopo i rigori dell’inverno. Le strade della città cominciano ad animarsi di voci, di passi frettolosi, di piccoli negozi che alzano le serrande con un suono metallico e familiare. Fulvio, Martina, Adelaide e Giulio, quattro liceali del classico, amici inseparabili e compagni di classe, si ritrovano davanti alla chiesa del Gesù Nuovo. La facciata scura e imponente dell’edificio, con i suoi caratteristici bugnati a punta di diamante, sembra osservare con severità le loro giovani esistenze, ancora in cerca di una strada ben definita. 
 
Dopo aver ammirato l’interno della chiesa, con i marmi policromi e le cappelle decorate, i quattro ragazzi escono con l’entusiasmo di chi si sente parte di una città che trasuda storia e arte in ogni angolo. Fulvio si ferma un attimo, come a voler imprimere nella memoria ogni dettaglio di quella mattinata. “Che meraviglia”, dice sottovoce, quasi parlando più a se stesso che agli altri. Martina, che cammina accanto a lui, annuisce sorridendo. Adelaide, sempre piena di energia, li sprona: “Andiamo, non possiamo mica rimanere qui tutto il giorno!”.
 
I quattro amici si portano prima a piazza san Domenico per una seconda sosta all’interno di una nota pasticceria e, dopo qualche minuto, raggiungono via Mezzocannone per entrare nella Facoltà di Matematica, così che Martina dalle segreteria possa avere alcune informazioni che le occorrono. In fine, i quattro amici, si dirigono a Port’Alba. La loro meta è un ristorantino noto tra gli studenti e i professori, un luogo che sembra sospeso nel tempo, dove il profumo della cucina si mescola a quello dei vecchi libri delle bancarelle all’ingresso. Salgono al primo piano, accolti da una sala semplice, ma accogliente. Alle pareti, un grande affresco raffigurante piazza Dante Alighieri cattura lo sguardo. La scena è un omaggio alla loro città: il poeta in piedi su un alto basamento al centro della piazza, ha uno sguardo severo rivolto ai passanti, quasi a ricordare l’importanza della cultura e della conoscenza. 
 
I ragazzi si siedono al tavolo indicato loro da un anziano e simpatico cameriere, e sotto le mani avvertono il legno liscio mentre ai loro orecchi giungono le voci dei presenti che si mescolano in un confortevole brusio. L’ambiente è tranquillo, sobrio, con un’atmosfera familiare che li fa sentire a casa. Ordinano senza fretta: Fulvio e Martina scelgono spaghetti alle cozze, Adelaide opta per le linguine allo scoglio, mentre Giulio si lascia tentare dagli gnocchi alla sorrentina. E per finire, una frittura di calamari e gamberi da condividere, perché il piacere del cibo si moltiplica quando è condiviso.
 
I profumi inondano la sala mentre i piatti arrivano al tavolo: l’aroma intenso delle cozze, il profumo salino delle linguine allo scoglio, il sugo ricco e filante degli gnocchi alla sorrentina... Ogni boccone è un’esplosione di sapori che parla di mare, di sole, di tradizioni che si tramandano da generazioni. Tra un assaggio e l’altro, i ragazzi ridono, scherzano, raccontano le loro storie. Adelaide sfoggia una battuta delle sue, facendo scoppiare in una risata Martina, che si era appena portata una forchettata di spaghetti alla bocca. Giulio si volta verso Fulvio, sollevando il bicchiere: “Buon compleanno, Fulvio!” esclama. E tutti insieme brindano, con quell’entusiasmo tipico della gioventù, che sembra non conoscere limiti né confini.
 
Dopo il pranzo i quattro amici iniziano a curiosare tra le bancarelle di libri che affollano Port’Alba. I tavolini sono colmi di volumi, alcuni ingialliti dal tempo, altri nuovi, brillanti sotto il sole. L’odore della carta si mescola a quello del cibo appena consumato, generando una magica miscela di sensazioni ed emozioni che li avvolge completamente. Sfogliano i libri, si scambiano consigli, si regalano sorrisi. Martina, con gli occhiali scivolati sul naso, trova un vecchio tomo di matematica che lo affascina; Fulvio, con la sua immancabile vivacità, sfoglia un romanzo d’avventura, sognando ad occhi aperti nuovi mondi, mentre Giulio e Adelaide si concentrano sulla biografia di un noto politico. 
 
Ogni istante trascorso insieme è prezioso, ogni parola condivisa è un tassello che va a comporre il mosaico della loro amicizia. Sanno di vivere in una città carica di storia, di bellezze artistiche e naturali. Napoli è per loro una maestra silenziosa, che insegna attraverso i vicoli stretti e le piazze affollate, che parla con la voce dei suoi monumenti e delle sue chiese. Fulvio osserva gli altri tre con uno sguardo che trasuda gratitudine: “Siamo fortunati”, dice, e subito aggiunge: “Napoli è una città che ti resta dentro”. Martina, Adelaide e Giulio annuiscono. Sanno che, in quel momento, tra il profumo di cozze, il suono delle risate e le bancarelle di libri, stanno vivendo un frammento di felicità pura, di quella che solo gli anni della gioventù, quando tutto è possibile e il futuro è ancora un’avventura, possono regalare. (Carlo Silvano)
 

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mercoledì 4 settembre 2024

A breve la pubblicazione del volume umoristico "Non tutti i pinguini sono gay... e altre storie"

 

Non tutti i pinguini sono gay” è un libro di Carlo Silvano che, con ironia e intelligenza, si propone di sfidare i preconcetti e le semplificazioni della nostra società, esplorando il mondo con uno sguardo fresco e critico. Già dal titolo, volutamente provocatorio, l’autore invita i lettori a riflettere su stereotipi e luoghi comuni, prendendo spunto da un curioso mito del regno animale per aprire un discorso molto più ampio. Il libro non si limita a smontare pregiudizi, ma li usa come trampolino per un viaggio tra curiosità, racconti e osservazioni che spaziano dal serio al leggero, sempre con un tono piacevole e accessibile. Ogni capitolo nasce da conversazioni e riflessioni maturate nell’ultimo anno, trasformando idee in racconti che non solo intrattengono, ma invitano il lettore a guardare oltre la superficie delle cose. L’autore riesce a far emergere come spesso, senza rendercene conto, tendiamo a semplificare la realtà attraverso notizie infondate o preconcetti radicati. Attraverso storie e aneddoti, ci porta a scoprire un mondo molto più complesso e affascinante di quanto spesso immaginiamo. “Non tutti i pinguini sono gay” è quindi molto più di un semplice libro di intrattenimento; è un invito a mettere in discussione ciò che diamo per scontato, a osservare con occhi nuovi le verità che accettiamo senza riflettere. Con il suo approccio accessibile e accattivante, il libro si rivolge a un pubblico ampio: che siate studenti, genitori, nonni curiosi o semplicemente lettori appassionati, troverete in queste pagine un’occasione per riflettere, sorridere e, perché no, sorprenderci di fronte alla complessità della realtà che ci circonda. L’autore ci mostra con maestria come ogni argomento, dai più banali ai più complessi, possa nascondere spunti di riflessione profondi e inattesi. Leggere “Non tutti i pinguini sono gay” significa intraprendere un viaggio intellettuale leggero, ma significativo, un invito a osservare il mondo con maggiore attenzione e spirito critico. È una lettura che non solo arricchisce, ma che riesce anche a divertire, offrendo un prezioso antidoto alla superficialità e alla disinformazione dei nostri giorni.


Dal 10 settembre 2024 il volume si potrà reperire sia nelle librerie fisiche che in rete.

Non tutti i pinguini sono gay… e altre storie”, di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, pp. 192, isbn 979-12-22760-77-3, euro 19.00.

 

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lunedì 19 agosto 2024

“Dicette 'o pappice 'a noce: damme 'o tiempo ca te spertose”


 

Dicette ‘o Pappice…”

Il proverbio napoletano “Dicette ‘o pappice ‘a noce: damme ‘o tiempo ca te spertose” racchiude in sé una saggezza popolare che si presta a diverse riflessioni etiche, offrendo un insegnamento sulla pazienza, la perseveranza e la determinazione. Tradotto letteralmente in italiano, il proverbio significa “Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo”, e racconta di una piccola creatura, il verme, che con il tempo e la costanza riesce a superare un ostacolo apparentemente insormontabile come il duro guscio di una noce.


La pazienza come virtù etica

Una delle prime riflessioni che emerge da questo proverbio riguarda la pazienza come virtù etica. In un mondo frenetico come quello contemporaneo, dove il successo è spesso misurato in termini di velocità e immediatezza, il proverbio ci invita a riscoprire il valore della pazienza. La figura del verme, che lavora lentamente ma costantemente, rappresenta l’idea che i risultati più significativi richiedono tempo per maturare. La pazienza, quindi, non è solo una qualità personale, ma una scelta etica che riflette la consapevolezza dei propri limiti e la fiducia nel processo di crescita e trasformazione.


La testardaggine e la perseveranza

Un’altra chiave di lettura etica del proverbio riguarda la testardaggine e la perseveranza. Il verbo “spertosare” nel dialetto napoletano non indica un semplice bucare, ma evoca l’idea di scavare con forza e determinazione. Questa immagine sottolinea l’importanza della tenacia nel perseguire i propri obiettivi, anche quando le circostanze sembrano avverse. Tuttavia, questa tenacia può avere delle connotazioni ambigue dal punto di vista etico. Se da un lato la perseveranza è una virtù, dall’altro la testardaggine cieca può trasformarsi in ostinazione, rischiando di diventare autodistruttiva o dannosa per gli altri.


Etica della perseveranza:

quando insistere e

quando lasciare andare?

Il proverbio, con la sua semplicità, solleva una questione etica complessa: quando è giusto insistere e quando è opportuno lasciar andare? Il verme può rappresentare non solo la virtù della perseveranza, ma anche il pericolo dell’ostinazione. In un contesto etico, è fondamentale saper bilanciare la determinazione con la saggezza del riconoscere i limiti delle proprie azioni. Insistere per raggiungere un obiettivo può essere ammirevole, ma è altrettanto importante riconoscere quando un cambiamento di rotta o una rinuncia possono rappresentare la scelta più saggia e moralmente corretta.


Il tempo come fattore

di giustizia e di cambiamento

Infine, il proverbio introduce una riflessione sul ruolo del tempo nella nostra vita. Il tempo è visto come un fattore di giustizia e di cambiamento. La noce, con il suo guscio duro, rappresenta le difficoltà e le sfide che incontriamo, mentre il verme incarna la capacità di trasformare la realtà con il tempo. In questo senso, il proverbio ci ricorda che molte situazioni, anche le più difficili, possono essere superate con la pazienza e la persistenza. Tuttavia, il tempo può essere anche un giudice imparziale, che premia la costanza o punisce l’ostinazione cieca.

Conclusione

Dicette ‘o Pappice ‘a Noce: damme ‘o tiempo ca te spertose” è un proverbio che racchiude un profondo insegnamento etico. Ci invita a riflettere sulla pazienza, la perseveranza e la capacità di affrontare le sfide con saggezza. Al di là della sua apparente semplicità, questo detto napoletano offre una visione equilibrata della vita, dove la determinazione deve essere sempre temperata dalla consapevolezza dei propri limiti e dalla capacità di adattarsi al fluire del tempo. In un mondo che spesso premia la velocità e l’immediatezza, questo proverbio ci ricorda l’importanza di dare valore al tempo e alla costanza nel perseguire i nostri obiettivi. (a cura di Carlo Silvano)

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venerdì 26 luglio 2024

Pollena, La Vergine del pilar e san Giacomo apostolo

 

(interno della chiesa di San Giacomo di Pollena 
che mostra anche il quadro della Vergine del pilar.
La foto è stata attinta da facebook)

La Madonna del Pilar: un pilastro di fede e speranza

Sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Pollena c’è un dipinto che raffigura l’apparizione a san Giacomo apostolo della Madonna del pilar. Quest’opera fu realizzata dall'artista Domenico Mondo.

La devozione alla Madonna del pilar ha radici profonde che risalgono al primo secolo dell'era cristiana. Questo titolo mariano prende il nome dal santuario omonimo di Saragozza, un luogo di pellegrinaggio e venerazione che ha esteso la sua influenza in tutto il mondo. La Vergine Maria del pilar è considerata la patrona dei popoli ispanici, ed è celebrata liturgicamente il 12 ottobre. Anche a Pollena, dunque, il 12 ottobre dovrebbe diventare un giorno di festa e di riflessione spirituale.

La parola ‘pilar’ in spagnolo significa pilastro, un simbolo di stabilità e sostegno. La tradizione narra che il 2 gennaio del 40 d.C., la Vergine Maria apparve all’apostolo Giacomo, deluso e scoraggiato dall’inefficacia della sua predicazione. Giacomo, dopo un lungo viaggio dalla Palestina alla Spagna, si trovava in un luogo riparato vicino alle sponde del fiume Ebro. Qui, afflitto dal peso del suo compito e dall’apparente mancanza di risultati, si pose in preghiera per cercare conforto e guida.


 In questo momento di profonda desolazione, accadde un prodigio straordinario. La Vergine Maria, ancora in vita in Oriente, apparve in bilocazione avvolta da una luce sfolgorante, attorniata da schiere di angeli che intonavano inni a Dio. Questo evento miracoloso non solo rinvigorì la fede di Giacomo, ma segnò anche la prima bilocazione nella storia della Chiesa, un segno tangibile della promessa divina che la Madre di Dio sarebbe sempre accorsa in aiuto dei suoi figli bisognosi.

La Madonna del pilar rappresenta quindi un pilastro non solo fisico, ma anche spirituale. Il suo apparire a Giacomo non fu solo un sostegno personale per l’apostolo, ma un simbolo per tutta l'umanità. Questo evento ci ricorda che, nei momenti di difficoltà e scoraggiamento, possiamo trovare rifugio e forza nella fede. La figura di Maria, con la sua presenza rassicurante e il suo intervento miracoloso, ci invita a non perdere mai la speranza, a rimanere saldi nella fede e a credere nella potenza della preghiera.

La bilocazione della Vergine, pur essendo un fenomeno eccezionale, ci insegna che la dimensione spirituale trascende i limiti del tempo e dello spazio. Maria, la Madre di Dio e della Chiesa, ci mostra che l’amore divino è sempre presente e operante nella nostra vita, pronto a intervenire nei momenti di bisogno. Questo miracolo ci offre una prospettiva più ampia sulla realtà spirituale, invitandoci a guardare oltre le apparenze e a riconoscere i segni della presenza divina nel nostro quotidiano.

La celebrazione della Vergine del pilar il 12 ottobre è quindi non solo una festa mariana, ma anche un momento di riflessione sulla nostra fede. È un'occasione per rinnovare il nostro impegno spirituale, per rafforzare i nostri legami con Dio e per ricordare l’importanza della preghiera come strumento di connessione con il divino. Maria, come pilastro della nostra fede, ci invita a costruire la nostra vita su fondamenta solide, a essere perseveranti nelle nostre convinzioni e a confidare sempre nella misericordia e nell’amore di Dio.

In conclusione, la comunità di Pollena che ha come patrono san Giacomo apostolo, è chiamata ad affidarsi anche alla Madonna del Pilar che non è solo una figura di devozione, ma un simbolo di speranza e di sostegno spirituale. La sua apparizione a Giacomo ci ricorda che, anche nei momenti di maggiore difficoltà, non siamo mai soli. La sua presenza continua a ispirare e a guidare i fedeli di tutto il mondo, offrendo un pilastro di fede su cui possiamo sempre contare. (a cura di Carlo Silvano)

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giovedì 25 luglio 2024

L’Eden visto con gli occhi di Maria di Nazaret

 

L’Eden visto con gli occhi

di Maria di Nazaret (1)

Nel cuore del cristianesimo si trova una figura silenziosa, ma profondamente influente: è Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. Attraverso i suoi occhi, siamo invitati a riscoprire la bellezza e la profondità della nostra fede, a valorizzare e a riconoscere anche la perdita del dono dell’Eden che Dio creò, così come descritto nel secondo capitolo della Genesi (2,8-15).

L’Eden: un dono perfetto

Nel racconto della Genesi, Dio pianta un giardino in Eden, un luogo di armonia e bellezza perfetta, dove l’uomo e la donna vivono in intima comunione con il Creatore. Questo paradiso terrestre è un dono ineguagliabile, simbolo della pienezza della vita e dell’amore divino. È un luogo dove ogni creatura trova il suo posto e ogni bisogno è soddisfatto, un microcosmo di pace e gioia.

La perdita dell’Eden

La storia del peccato originale, tuttavia, ci racconta di una caduta, una frattura nella relazione tra l’uomo e Dio. La disobbedienza di Adamo ed Eva, ovvero di tutto quello che allora era il genere umano, porta alla perdita di questo dono prezioso. La cacciata dall’Eden segna l’inizio di una storia di dolore, fatica e alienazione. È una ferita che portiamo nel profondo dell’anima, una nostalgia di quella pienezza perduta.

Maria di Nazaret: uno sguardo di speranza

Ma la Madre di Gesù come guarderebbe a questa perdita? Maria, la nuova Eva, con il suo “sì” al progetto di Dio, ha aperto la via alla redenzione. Il suo sguardo non è rivolto solo al passato, ma si proietta nel futuro con speranza e fede. Maria ci insegna a guardare la nostra condizione umana non con disperazione, ma con la fiducia che Dio non ha abbandonato la sua creazione.

Valorizzare il dono di Dio

Maria ci invita a valorizzare ogni dono di Dio nella nostra vita quotidiana, a riconoscere i segni della sua presenza amorevole anche nelle piccole cose. La cura della casa, l’attenzione ai bisogni degli altri, la capacità di accogliere e custodire la vita: sono tutti modi concreti di rendere grazie a Dio e di riflettere sulla sua bellezza e bontà.

Riconoscere la perdita per apprezzare la Redenzione

Infine, riconoscere la perdita dell’Eden ci permette di apprezzare pienamente il dono della redenzione attraverso Cristo. Maria ci guida a comprendere che, sebbene il peccato abbia introdotto il dolore e la sofferenza nel mondo, la misericordia di Dio ha aperto una via di salvezza e di riconciliazione. La promessa del nuovo Eden, del Regno di Dio, ci sostiene nel nostro cammino di fede.

In conclusione, attraverso gli occhi di Maria di Nazaret, siamo invitati a guardare la nostra realtà con uno sguardo rinnovato. Siamo chiamati a riconoscere la bellezza originaria del dono di Dio, a valorizzare i segni della sua presenza nelle nostre vite e a vivere con speranza, nella certezza che, attraverso Cristo, la perdita del paradiso terrestre non è l’ultima parola. La nostra fede ci spinge a camminare verso la pienezza della vita eterna, dove tutte le lacrime saranno asciugate e l’amore di Dio sarà tutto in tutti.

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(1) Questo brano è tratto dal volume "I sette misteri del Santo Rosario", di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, pp. 220. Per informazioni sui volumi pubblicati da Carlo Silvano cliccare sul seguente collegamento: Libri di Carlo Silvano 



martedì 23 luglio 2024

Pollena, Va bene san Giacomo, ma non dimentichiamoci di sant'Apollinare...

 

Ieri (23 luglio) ricorreva la festa di Sant’Apollinare (nell'immagine qui sopra), vescovo di Ravenna e martire, patrono della comunità parrocchiale di Pollena fino al XVIII secolo. Negli Atti della visita pastorale dell’arcivescovo Francesco Carafa di Napoli, compiuta a Pollena nel 1542, si legge infatti che già allora la comunità aveva due chiese: una intitolata a san Giacomo apostolo, l’altra a sant’Apollinare. Quest’ultima chiesa fungeva da sede parrocchiale. 

Sant’Apollinare è una figura che emerge con straordinaria forza spirituale e coraggio nell’evangelizzazione. Originario di Antiochia (città allora della Siria), un luogo ricco di fervore cristiano e culturale, Apollinare si dedicò con passione alla diffusione del Vangelo, lasciando un’impronta indelebile nella città di Ravenna. Il suo entusiasmo nell’annunciare la Parola di Dio e la sua ferma testimonianza di fede sono un faro luminoso che ha guidato generazioni di credenti. 

Apollinare non fu solo un pastore zelante, ma anche un martire che affrontò le persecuzioni con un coraggio incrollabile. La sua vita è una testimonianza di dedizione assoluta a Cristo, nonostante le avversità e le minacce che incontrò lungo il cammino. La sua storia ci ricorda che la fede, vissuta con autenticità e ardore, può superare ogni ostacolo, persino la morte. 

Già nel XVI secolo, Sant’Apollinare era riconosciuto come patrono della parrocchia di Pollena, una comunità che nel XVIII secolo avrebbe poi intitolato la propria chiesa parrocchiale a San Giacomo Apostolo. Tuttavia, il legame storico e spirituale con Sant’Apollinare è un patrimonio che merita di essere riscoperto e valorizzato. La figura di Apollinare può ancora oggi offrire una ricca fonte di ispirazione, soprattutto per i giovani, che spesso cercano modelli di vita autentici e coraggiosi. 

Per i giovani di oggi, Sant’Apollinare rappresenta un esempio di come la fede possa essere vissuta con passione e impegno. La sua capacità di affrontare le sfide con serenità e fiducia in Dio, il suo spirito di sacrificio e il suo amore per la comunità sono valori che risuonano fortemente anche nel contesto contemporaneo. In un mondo che spesso valorizza il successo materiale e la fama, Apollinare ci ricorda l’importanza della spiritualità, del servizio agli altri e della coerenza morale. 

Riscoprire il culto di Sant’Apollinare a Pollena potrebbe dunque offrire una rinnovata opportunità di crescita spirituale per la comunità, incoraggiando i giovani a seguire le orme di questo grande santo. La sua storia dimostra che la fede non è solo una questione privata, ma una forza trasformante che può influenzare positivamente la società. In un’epoca in cui i giovani sono spesso alla ricerca di significato e autenticità, Sant’Apollinare offre un esempio concreto di come la vita possa essere vissuta con pienezza e gioia, radicata nella fede e nel servizio agli altri. 

In conclusione, Sant’Apollinare, con il suo entusiasmo nell’evangelizzazione e il suo coraggio nel testimoniare la fede, rimane una figura di grande rilevanza spirituale. La comunità di Pollena ha l’opportunità di riscoprire e valorizzare questo tesoro spirituale, offrendo ai giovani un modello di vita ispirato e coraggioso, capace di rispondere alle sfide del nostro tempo con fede, speranza e amore.


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