Ci trascina nel suo viaggio attraverso la lettura di questo libro, Marco, il protagonista di questo breve romanzo rimasto vittima di un grave incidente. Nel letto di un ospedale si sente travolgere da un’onda azzurra che lo purifica e si ritrova in un mondo appartenente ad un altro tempo, in un’altra dimensione, dentro a una natura incontaminata dove nulla ferisce e niente è pericoloso.
Con lui si assaporano i profumi, si provano le emozioni di una vita semplice, più austera ma senza affanno, irreale.
E con Sabrina, che condurrà per mano Marco in questo viaggio fantastico, il lettore s’inoltra verso boschi odorosi e verdeggianti, erbe rampicanti e fresche ed argentee acque, luoghi straordinari, in un mondo illuminato da una stella dove quello che vivi e provi resterà impresso nel cuore.
Crio è la stella che illumina Marco nel cammino verso la conoscenza della sua anima, del suo essere bisognoso di affetto, di amicizia e di calore come ogni creatura umana.
Via via che si delinea la storia, emergono i particolari, riaffiorano nel protagonista i ricordi, gli errori del suo passato; descrive a Sabrina l’esperienza avuta in carcere e vissuta in un contesto invivibile.
Il breve e delicato romanzo di Carlo Silvano ci invia eloquenti messaggi e porta a riflettere soprattutto sulla realtà del nostro tempo: quali l’aborto, le condizioni carcerarie e quelle delle donne nei paesi islamici.
Nel mondo di Crio, Marco ci vorrebbe rimanere; un mondo di luce, di pace e serenità, quello in cui, sicuramente, ognuno di noi anela.
[Adriana Michielin (presidente del Circolo "Matilde Serao" di Villorba)]
Qui di seguito propongo una parte del primo capitolo de "L'onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio"....
Capitolo I
Nessun rumore.
Nemmeno un odore. Provava una strana sensazione, quasi fosse sospeso
nell'aria; forse lo era veramente. Si sentiva bene, però. Provò ad
aprire gli occhi. Niente. Non riusciva a percepire alcun muscolo del
proprio corpo. Nemmeno il suo respiro avvertiva.
"Sono
morto?", si domandò senza provare alcuna emozione, dopo
l'ennesimo tentativo andato a vuoto di alzare le palpebre.
"Sono
solo!", si disse.
Si sforzò di
ricordare ciò che aveva fatto negli ultimi giorni. Niente. Nessun
ricordo affiorava alla mente, e continuava invece a sentirsi leggero
e sospeso nel vuoto.
Era sicuro di
stare ancora in un corpo, nel suo corpo, ma non riusciva ad avvertire
nulla; neanche un dolore o un fastidio.
Provò allora a
immaginare il suo corpo e si riconobbe sul letto di un ospedale. Era
successo qualcosa di molto grave. Forse di irreparabile. Non per
questo, però, ebbe paura. Anzi, continuò a restare tranquillo.
Senz'altro attorno a lui c'erano medici e infermieri che si davano un
gran da fare per salvargli la vita, e di certo oltre la porta della
sala operatoria c'erano genitori, parenti e amici che si disperavano
per quanto era successo. Lui, intanto, non sentiva dolore e non
provava paura. Era molto rilassato. La sala operatoria doveva essere
ben illuminata, ma lui continuava a non percepire nulla; non riusciva
neppure a intravedere l'accecante luce dei fari che certamente gli
piombava addosso dal soffitto, e non capiva, ora, nemmeno se avesse o
meno gli occhi aperti. Forse qualche chirurgo lo stava operando e il
suo sangue e la sua carne stavano lottando per vivere, per trattenere
nel corpo il soffio della vita. Non poteva escluderlo. Continuava
ancora a chiedersi cosa potesse succedere attorno al suo corpo,
quando iniziò a provare una strana sensazione perché qualcosa di
misterioso e di impenetrabile si stava avvicinando. Non riusciva a
capire cosa potesse essere. Eppure qualcosa stava accadendo.
Attorno a lui
aveva iniziato a ruotare molto lentamente una potente forza e man
mano che questa gli girava attorno, lui provava strane sensazioni,
sempre più forti: a tratti percepiva un rassicurante tepore, per poi
essere colto da improvvisi e piacevoli brividi di freddo che lo
facevano precipitare velocemente in un vuoto senza fine e fuori dal
tempo. Inutile pensare alla durata di ciò che gli stava capitando.
Era in un vortice: quella forza misteriosa sapeva miscelare bene le
emozioni da fargli provare e per un tempo infinito. Poi,
all'im-provviso, tutto si fermò, e quella strana forza iniziò a
prendere la forma di una gigantesca e placida onda azzurra. Una massa
d'acqua che lentamente procedeva verso di lui, e lui non aveva paura.
Fu un attimo e l'acqua gli lambì i piedi. Solo ora iniziò a
percepire il suo corpo. Sì, avvertiva di avere un corpo. L'acqua
azzurra, tiepida e trasparente, iniziò a penetrare dentro di lui dai
piedi arrecandogli un benessere mai provato prima. Si sentiva bene,
tranquillo e rilassato. L'acqua, lentamente, attraversò le gambe e i
ginocchi come se volesse sbriciolare e disperdere lontano ciò che
non apparteneva al suo corpo. Si sentiva libero, tonificato, e provò
una profonda pace quando l'acqua si riversò nel ventre svuotandolo
da ogni peso, da ogni impurità, continuando a salire per depurare il
fegato e rigenerargli il cuore.
Lentamente l'onda
azzurra fluttuava, attraversando anche le arterie e le vene, per
arrivare alle mani e poi ai polmoni, riempendoli e rilassandoli. Poi,
sempre lentamente, l'onda azzurra attraversò anche la gola per
penetrare nel cranio, e al tepore seguì una gradevole sensazione di
purificazione.
Era libero dentro
di sé. Completamente libero. Ora nulla contaminava il suo corpo. Ed
ora che l'onda azzurra lo aveva completamente conquistato occupando
ogni cellula del suo corpo, iniziò a liberarlo, trascinando con sé
tutti i residui delle ansie e dei timori che spesso lo avevano
accompagnato nel corso di grigie e monotone giornate. L'onda azzurra
lasciava il suo cranio scivolando piano giù per la gola, i polmoni,
le viscere e le gambe, per poi uscire completamente dai piedi.
Marco, ora, e solo
ora, era veramente libero e aprì gli occhi: era disteso sulla sabbia
con il cielo celeste e limpido che, in alto, gli si spalancava
davanti senza confine, mentre leggere e tranquille onde marine si
avvicinavano timidamente ai suoi piedi e lui percepiva
l'incontaminato bacio della soffice schiuma bianca.
Marco si sedette
sulla battigia: era su una piccola spiaggia racchiusa in una rada e
davanti a lui si estendeva, piatto come una tavola, il mare di un
altro mondo, di un mondo appartenente a un altro tempo e a un'altra
dimensione. Nessuno scoglio affiorava dal mare e a destra e a
sinistra una fitta e ordinata vegetazione ricopriva due imponenti
promontori che avanzavano nell'acqua per alcune centinaia di metri.
Alle sue spalle e non lontano dovevano esserci folti cespugli di
lavanda perché ne percepiva, anche se leggermente, il profumo.
Marco, estasiato e cosciente, non si poneva alcuna domanda, ma
lasciava solo che i suoi occhi si nutrissero del blu intenso del mare
incoronato dalla celeste volta del cielo. Alcuni gabbiani volavano
alti e l'aria era fresca. Marco stava bene con se stesso e non aveva
alcun desiderio. Gli piaceva l'aria carica di iodio del mare e si
sentiva a proprio agio indossando una polo di colore chiaro e dei
pantaloncini bianchi. Con la mano sinistra raccolse un pugno di
sabbia e la strinse perché gli faceva bene quel contatto: gli dava
una calda sensazione.
A un tratto si
accorse che qualcuno camminava verso di lui. Si girò e riconobbe in
un volto semplice un suo amico d'infanzia. Si chiamava Giuseppe, ma
tutti lo chiamavano Peppino ed aveva origini partenopee. Si erano
conosciuti per le strade del loro quartiere e tra i banchi delle
scuole elementari, per poi perdersi di vista. Marco non si stupì di
incontrare Peppino perché dentro di sé aveva sempre creduto che
prima o poi si sarebbero rivisti.
"Ti stiamo
aspettando". Gli disse Peppino e abbozzò quel sorriso, un
po' amaro e un po' mesto, che lo aveva sempre contraddistinto.
Marco si alzò,
per un attimo si guardarono negli occhi e avrebbero voluto dirsi
tante cose, ma per carattere si limitarono a una stretta di mano, di
quelle forti e che tolgono il respiro.
"Qui ci
sono dei sandali per te", fece Peppino indicandogli delle
calzature, e facendogli capire, con un cenno della testa, che si
sarebbero diretti verso la pineta che iniziava a circa cinquanta
metri da loro. Dopo pochi minuti si ritrovarono già a percorrere un
sentiero all'ombra di pini marittimi; sulle loro teste, da un ramo
all'altro, si muoveva qualche scoiattolo, oppure a volare era un
picchio incurante della loro presenza.
"Ti
ricordi ancora la scazzottata nel cortile della scuola?",
chiese a un certo punto Marco, e Peppino, sorridendo perché stava
pensando alla stessa cosa, gli rispose:
"Certo che
me la ricordo. Io ero il più forte della classe e tutti mi temevano.
Ero un vero capobanda. Anche tu avevi paura di me, però ti sei
battuto lo stesso, e devo riconoscere che me le hai date".
"Pure tu
mi hai assestato dei colpi che mi hanno fatto male. Per fortuna che
intervenne la suora, altrimenti stavamo ancora lì a scambiarci
cazzotti!".
"Già.
Tutti i compagni della classe avevano formato un cerchio attorno a
noi e per te solo un paio facevano il tifo...".
"Sì,
avevo solo un paio di sostenitori - ammise Marco, e aggiunse: -
All'improvviso li ho visti tutti scappare. Senza vedere chi
arrivasse ho intuito che doveva essere una suora e allora ho preso la
prima cartella coi libri che mi è capitata a tiro e sono corso via".
"Anch'io
ho fatto la stessa cosa. Tu prendesti la mia cartella e io la tua e
siamo scappati via senza guardarci dietro fino all'uscita della
scuola. Penso che la suora ci abbia inseguito per un bel tratto. Non
so chi fosse quella suora, ma doveva avere qualche chilo di troppo ed
è quello che ci ha salvati da una bella tirata d'orecchi".
Fuori dalla
scuola, Marco e Peppino si erano scambiati le cartelle e insieme
avevano fatto silenziosamente la strada fino al loro rione. Dopo
quell'episodio erano diventati amici e non si erano più presi a
pugni. In seguito, quelle rare volte che si incrociavano per strada,
si scambiavano solo qualche saluto, anche se entrambi avrebbero
voluto ridiventare bambini.
Camminarono per
circa mezz'ora e si ritrovarono in una radura dove ad attenderli
c'erano altri giovani. Stavano tutti seduti attorno a una brace e li
stavano aspettando per mangiare. Marco li guardò e con un lieve
cenno di testa li salutò uno a uno, e anche se non li aveva mai
visti sapeva – dentro di sé – i loro nomi. Si sedette accanto a
Sabrina, una ragazza [...]