domenica 2 gennaio 2011
martedì 27 luglio 2010
Consumiamo miele italiano

Non entro nel dibattito tra chi privilegia il miele allo zucchero, ma voglio solo sottolineare che è importante consumare miele prodotto in Italia, dove i controlli delle Asl sono rigorosi a vantaggio della salute. Evitiamo soprattutto di consumare miele importato da quei Paesi stranieri che, troppo spesso, contengono sostanze nocive.

lunedì 17 maggio 2010
Don Luigi Storino, un parroco tra la gente
Nel 1997 ebbi modo di scrivere diversi articoli ("Il giornale di Napoli", "Metropolis" ed "Ermes") dedicati a questo sacerdote, auspicando anche che gli venisse intitolata una strada comunale.
E' stato il parroco della mia infanzia!
Nato a Cercola il 2 giugno 1918, don Luigi maturò la sua vocazione sacerdotale con don Eduardo Fasano ed entrò in seminario dove fu seguito da don Vincenzo Malasomma. Don Luigi fu consacrato sacerdote il 29 ottobre 1944 e fu subito inviato a Volla come parroco nella chiesa dell'"Immacolata e San Michele". In seguito fu nominato parroco della comunità di San Giacomo apostolo di Pollena (17 gennaio 1954). In questa parrocchia don Luigi si impegnò e valorizzò l'adorazione Eucaristica, occupandosi soprattutto dell'apostolato della preghiera e dell'Azione cattolica.
Tra gli episodi che segnarono il ministero pastorale di don Luigi Storino a Pollena, vanno ricordate due sciagure aeree verificatesi sul monte Somma: la prima avvenne il 15 febbraio 1958, la seconda si consumò la notte di Pasqua del 1964. In entrambi i casi, tutti i passeggeri dei velivoli morirono.
Non furono poche le difficoltà che don Luigi dovette affrontare a Pollena per esercitare il suo ministero pastorale: operò in una parrocchia che sapeva certamente custodire le tradizioni e i valori umani, ma era pure una comunità arretrata sul piano sociale ed economico. Nonostante le varie difficoltà di natura pastorale, don Luigi seppe comunque conquistarsi la stima dei pollenesi essendo una persona "di tratto gentile, di poche parole, cordiale e amico con tutti" ("Ianuarius", novembre 1975, p. 460).
Don Luigi morì a Pompei dove il 13 novembre del 1975 si era recato con alcuni fedeli in occasione del rientro dell'immagine della Vergine.
Qui di seguito una breve rassegna stampa di articoli pubblicati nel 1997.
domenica 7 giugno 2009
Da Melbourne un sogno per Pollena Trocchia

Palazzo Pistolese (in origine di proprietà della famiglia Seripando)
e la chiesa parrocchiale di Trocchia
Villa Trinchera
mercoledì 13 maggio 2009
Da Pollena al Vermont: l'avventura umana e professionale di Barbara
Dalla nascita fino al 1996, quando mi sono trasferita a Napoli.
Mi sono trasferita negli USA nel 1999, per un dottorato di ricerca in Letterature Comparate. Ora sono docente di Lingua, Letteratura e Cultura Italiane al Bennington College, in Vermont.

Barbara... trasloca
Torno a Pollena una o due volte all'anno anche per lunghi periodi, da uno a due mesi ogni volta. Non sono legata in nessun altro modo alla comunità se non attraverso la famiglia e gli amici. Sono certamente molto legata al paese stesso, ai luoghi, alle strade, agli odori, ai negozi, alle presenze...
La vita qui è talmente diversa che non so da dove cominciare a parlartene...
Prova allora a darmi delle idee, più che dei dettagli.
La vita qui accade, non si ferma. Qui hai degli obiettivi e li raggiungi. Non sei alienato dal tuo lavoro, cominci una vita nuova anche a cinquant'anni. Le possibilità professionali sono quelle che concedi a te stesso: nessuno ti blocca, né ti spinge se non ti muovi da te. Qui la diversità è reale: in questo momento ho quattro studenti davanti a me che stanno facendo un esame: due hanno vent'anni e due più di cinquanta.
Continua...
Stasera andrò al supermercato che troverò aperto fino alle ore 22.30 - perché vivo in un paese piccolissimo, altrimenti sarebbe aperto 24 ore su 24 -, e lì troverò tutti i prodotti biologici che voglio, sceglierò di mangiare come mi pare e secondo le tradizioni di mezzo mondo.

consegna del dottorato (accanto a Barbara c'è il direttore di tesi, prof. Djelal Kadir)
E per quanto riguarda le difficoltà?
Le difficoltà, profonde, che hanno tutte le persone cresciute in una cultura mediterranea dove il rapporto con il proprio corpo, il corpo dell'altro, il rapporto con gli spazi, e il modo di intendere le relazioni personali sono molto diversi da quelli di una cultura di tradizione anglosassone. Per quanto riguarda il lavoro, l'affermazione professionale, e la possibilità di realizzare le mie aspettative, non ho avuto nessuna difficoltà; ero pronta per l'“America” da molto, molto prima di venirci.
Quando ero studentessa di dottorato, nella mia classe di Critica Letteraria eravamo seduti intorno ad un tavolo, tutti i giorni, io, italiana, un'irlandese, un ebreo americano, un'israeliana, una musulmana kwaitiana, una cinese, due kenyote, un giapponese, un marocchino e un tunisino. Bei tempi. Mi mancano. Nel periodo del Ramadan, gli amici musulmani lasciavano l'aula dopo il tramonto per qualche minuto e andavano a mangiare un boccone. A nessuno sembrava strano. La mia amica kwaitiana, ogni giorno alle tre apriva il tappetino nel suo ufficio e pregava: un ufficio che divideva con altri dieci studenti, dieci cubicoli con altrettante scrivanie. A nessuno sembrava strano. Il 9 settembre 2001, io e la mia amica kwaitiana siamo andate a New York ad accompagnare i figli di lei all'aeroporto. Alle tre ci siamo fermate perché doveva pregare. Abbiamo pregato insieme, lei verso La Mecca, io verso la mia versione di Dio. Sempre quell'anno siamo andate insieme a vedere l'Oedipus Rex, a New York, messo in scena dalla compagnia nazionale di Atene. Non era l'unica a portare il velo in teatro, ce n'erano tante di donne col velo. La sera prima eravamo a casa sua e mangiavamo per terra, sul tappeto, con le mani. Mi ricordo che in quell'occasione il marito mi regalò la versione inglese autorizzata del Corano perché ero curiosa di capire un paio di cose. Ho un'altra amica carissima di tradizione musulmana, diversa però dalla prima. Lei è pakistana; ha sposato qualche anno fa il figlio di un diacono cattolico, e quest'anno ha preparato per la prima volta il pranzo natalizio per i suoceri e la famiglia del marito. Conservo la foto del suo matrimonio, celebrato in una moschea a New York. Poi lo hanno ricelebrato in Pakistan, poi in America... diversi dei miei amici sono coppie miste e i loro matrimoni sono sempre affari di due o tre stati! Vorrei aggiungere un'ultima cosa.
Dimmi pure!
Riguardo all'aspetto giuridico, siamo tutti soggetti alla legge del Paese in cui ci troviamo e non credo debba o possa essere altrimenti. Le leggi si possono e si devono migliorare, dove necessario.
Vivendo negli USA c'è una caratteristica del tuo essere italiana che hai “riscoperto” e di cui puoi dirti fiera?
Non mi piace la parola “fiera”. Fortunatamente, storicamente gli italiani hanno sempre avuto quella che viene indicata dagli addetti ai lavori (studiosi e intellettuali) come “weak national identity”, identità nazionale debole, nel senso che non siamo dei forti nazionalisti - con le dovute eccezioni ideologiche e storiche -, e meno male, anche se purtroppo la classe governativa del nostro paese sta cercando in tutti i modi di farci irrigidire dentro immaginari scafandri nazionalistici per il pessimo lavoro che sta facendo con l'immigrazione... Ripeto, non mi piace la parola fiera, ed è pur vero che sono più italiana qui di quanto non lo sia in Italia; qui ci si aspetta da me che io sia "italiana" e che quindi la mia persona e le mie abitudini corrispondano a tutta una serie di stereotipi. Il mio lavoro consiste nello smontarli, quegli stereotipi e io mi diverto a farlo. Ora finalmente ti rispondo... ho riscoperto di essere molto legata alla mia terra, al mare, alle strade di Napoli, agli odori, ai panorami, ai palazzi. Non sono invece legata a molta della mentalità e delle abitudini di noi italiani, riesco a farne a meno benissimo. Ci sono cose che non riuscivo ad accettare prima di lasciare l'Italia, da quando ero ragazzina, e che ancora non capisco: perché i figli restano a casa fino a trent'anni pur avendo un lavoro, perché le madri italiane continuano ad educare i ragazzi italiani in un certo modo, perché bisogna per forza appartenere ad una cappella ideologica, politica o religiosa che sia. Perché il giardino della villa del signor Tizio è pulitissimo e bellissimo e il marciapiede subito fuori dal suo cancello è disastrato, pieno di erbacce e sporco? Perché la gente guarda le veline in TV? Cose così. Ci sono altrettante cose degli USA che non capisco, ovviamente. Io credo sia importante essere capaci di vivere sempre in una posizione di dislocamento intellettuale, senza omologarsi mai, per essere più aperti e capire meglio l'altro. Lo dobbiamo al genere umano e alla terra tutta.

foto di compleanno
Non ho un autore preferito in assoluto. La mia autrice italiana preferita in questo momento è Igiaba Scego; la leggo con molto piacere insieme ad altri autori italiani di origini straniere come Ingy Mubiayi, ad esempio, perché sono gli unici che mi raccontano l'Italia di domani mentre sta arrivando, insieme a quella di oggi. Mentre il governo italiano rimanda i barconi in Libia, loro mi raccontano di coppie miste, di bambini "bicolori", di realtà diverse, a volte tristi, a volte da ridere, ma comunque realtà nuove e mi sento elettrizzata. (a cura di Carlo Silvano)
giovedì 23 aprile 2009
Il rione di Giorgio Tartaglia
Pollena Trocchia - Con la breve intervista che segue al geom. Raffaele Di Tuoro (1), sono state raccolte alcune informazioni sulla nascita del rione “Tartaglia” ubicato nel comune di Pollena Trocchia. I terreni che oggi accolgono villette e fabbricati anche di diversi piani con decine di appartamenti, erano, un tempo, di proprietà del signor Giorgio Tartaglia. Le prime costruzioni edilizie sono state realizzate negli anni Sessanta del secolo scorso e, a quel tempo, i primi residenti si conoscevano e si frequentavano. Oggi, invece, il rione “Tartaglia”, che si estende su circa dieci ettari, si presenta come un tipico quartiere dormitorio in quanto molti dei suoi abitanti sono dei perfetti anonimi.
Geom. Di Tuoro, lei ha conosciuto di persona il possidente Giorgio Tartaglia?
L’ho conosciuto al “Calasanzio” di Napoli in terza liceo, e da allora siamo rimasti fraterni amici fino a quando è morto.
Il signor Tartaglia coltivava direttamente lui i terreni di sua proprietà?No, non coltivava i terreni ereditati dal padre ma aveva dei coloni. Quando poi si procedette alla vendita dei vari lotti di terreno, garantì ai suoi coloni circa un terzo del denaro ricavato. Personalmente ho dovuto prendere atto che, in quell'operazione, Giorgio Tartaglia si accontentò di quanto gli spettava; soldi che poi investì nell'acquisto di qualche locale, così da garantirsi almeno una rendita. Con i fitti bloccati dei terreni, infatti, a stento percepiva i soldi per pagare le tasse.
In quale area dell'attuale rione era ubicata la casa del proprietario o dei coloni?
La masseria sorgeva nella zona dell’attuale via Apicella, e ospitava due famiglie di coloni dello stesso ceppo.
In sintesi, come è sorto il rione “Tartaglia”?
La lottizzazione fu ideata da un architetto di Ercolano o Torre con l’assistenza dell’avvocato Gaudino, e fu venduto soltanto un lotto ad uno dei coloni con clausole da trasmettere a tutti i futuri acquirenti. In due o tre anni, però, non riuscirono a vendere un altro lotto perché i prezzi praticati a Pollena non erano quelli cui aspirava l’architetto. Dopo due o tre anni l’avv. Gaudino suggerì a Tartaglia il mio nome e lui, ricordandosi che eravamo amici, mi telefonò. Con l’aiuto di un buon mediatore di Pollena cominciarono così le vendite a rate di piccoli lotti ad operai e artigiani del paese che, in parte, hanno costruito direttamente aiutati dal lavoro delle mogli e dei loro ragazzi. Successivamente vi sono state le vendite di suolo a coloro che avevano almeno i soldi per pagare il terreno, e soltanto verso la fine a coloro che avevano anche i soldi per costruire. All’epoca, in qualsiasi lottizzazione, si usava che il notaio fosse sempre lo stesso; anche per il frazionamento e per la progettazione ci si rivolgeva sempre alla stessa persona. Con la lottizzazione “Tartaglia” il notaio era di fiducia dell’acquirente a condizione che, all’atto della stipula, fossimo presenti io oppure l’avv. Gaudino, e ciò affinché venissero imposti i patti stabiliti con il primo atto di vendita. Anche per il tipo di frazionamento il perito poteva essere di fiducia dell’acquirente purché io fossi presente alla misurazione e controllassi l’elaborato per conto del Tartaglia. Tranne i primi, la maggior parte dei tipi di frazionamento sono stati elaborati da altri periti. Anche la maggior parte delle costruzioni sono state progettate e dirette da diversi tecnici. Personalmente, ho curato quelle dei concittadini e quasi tutte gratuitamente, o con il pagamento delle sole spese vive.
Uno dei problemi del rione “Tartaglia” è la mancanza di aree pubbliche a verde attrezzato, piazze e marciapiedi. Lei come si spiega questa lacuna?
Questo era il cruccio di Giorgio Tartaglia: più volte si era offerto di donare il terreno al Comune chiedendo di sapere quale parte doveva riservare a questo genere di opere pubbliche. Gli amministratori comunali, però, volevano che fosse lui a realizzare le opere. Questa richiesta era soltanto una scusa: gli amministratori comunali volevano, come più volte detto esplicitamente, che Tartaglia mi togliesse l’incarico di tutelare i suoi interessi, cosa, però, che non ha mai voluto fare, nonostante io gli dicessi più volte di accontentarli, in quanto avrei potuto ugualmente “guardare le cose da lontano”. Testardamente, e lo ricordo bene, Tartaglia ha sempre detto: “non vendo più un metro quadrato di terreno ma essi non possono entrare nelle mie cose”. (a cura di Carlo Silvano)
(1) Raffaele Di Tuoro è nato a Pollena Trocchia nel 1928, e dal 1998 redige, stampa e diffonde “Il Cittadino”, periodico di informazione indirizzato e aperto ai suoi concittadini di Pollena Trocchia.