giovedì 15 giugno 2023

Chiara Marcon intervista Carlo Silvano


Nato a Cercola (Napoli), per molti anni Carlo Silvano ha vissuto nel comune vesuviano di Pollena Trocchia; nel 1999 si è trasferito a Treviso e dal 2005 risiede a Villorba con la moglie e i tre figli. A maggio 2012 è tornato in libreria il suo romanzo intitolato “Il boiaro” ambientato in Russia al tempo dell’ultimo zar. Con le Edizioni del noce ha pubblicato libri che riguardano l’emigrazione, il carcere, il mobbing e la massoneria. Nella piattaforma digitale di YouCanPrint sono disponibili diverse pubblicazioni come il romanzo “L’onda azzurra. Viaggio nel mondo di Crio” e la raccolta di racconti “Il bambino e l’avvoltoio”. È fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Nizza italiana”. Nella nostra intervista, ci racconta il suo nuovo romanzo, “Una ragazza da amare”, ambientato in un liceo partenopeo, dove la vita e non solo di un gruppo di ragazzi si incontra e si scontra con la realtà di tutti i giorni, con un linguaggio semplice e delicato, Carlo, affronta tanti temi in questo suo scritto, non trascurando la cura per i dettagli e il verismo nella narrazione.

Hai ambientato il tuo racconto a Napoli, ma vivi da tanti anni a Treviso. Come mai questa scelta? 

Treviso è la mia città di adozione e a Treviso devo molto perché è nella Marca trevigiana che ho la mia famiglia e il mio futuro, ma Napoli resta la città che mi ha formato, soprattutto sotto il profilo umano e culturale, ed è Napoli che custodisce i sogni della mia infanzia e giovinezza. Camminare per le strade e per i vicoli di Napoli all’ombra dei suoi secolari palazzi e delle sue preziose chiese, respirarne la storia, scoprire che dietro un muro fatiscente è custodita un’opera d’arte che non tutti conoscono, guardare i volti delle persone che incroci intuendone il carico di speranze e di sofferenze che portano dentro di sé e ascoltare la sapienza popolare quando hai occasione di conversare con una persona anziana, non solo ti può arricchire come donna o come uomo, ma può stimolare la tua sensibilità artistica e farti viaggiare con la fantasia aprendoti la mente.

Chiara, se avrai modo di visitare Napoli, ti accorgerai che questa città ti può dare tanto in termini di emozioni e sentimenti, vuoi che la guardi e l’abbracci dalle mura di castel Sant’Elmo, vuoi che ti limiti ad osservare il via vai delle persone stando seduta dietro ad un tavolino di un caffè della Galleria Umberto.

Certo, anche a Treviso avrei potuto ambientare un romanzo del genere, ma non avrei potuto attingere nulla dalla mia adolescenza e da quelle emozioni che ho vissuto a Napoli.

C’è molto verismo nel tuo romanzo, soprattutto nella descrizione minuziosa e particolareggiata dei luoghi… i personaggi che ti hanno ispirato esistono davvero? 

A Napoli non esiste un liceo classico intitolato all’eroina nizzarda Caterina Segurana, mentre sono conosciuti e apprezzati tutti gli altri luoghi che ho menzionato, come castel Sant’Elmo che domina la città e il golfo, ma anche altri luoghi – strade, parchi e chiese – che ho frequentato quando ero studente. Conoscendo la realtà napoletana e ripensando a certi docenti e compagni di banco che ho avuto, credo che tante scuole avrebbero potuto offrire il palcoscenico per una storia così come l’ho raccontata nel mio romanzo.

I ragazzi protagonisti del libro sono molto uniti tra loro e compensano sempre una mancanza con un talento: sono un gruppo che alla fine trova sempre un equilibrio nonostante le diversità. Pensi sia davvero possibile nella scuola di oggi tutto questo e in una società complessa come la nostra?

Sono convinto che tantissimi giovani sentano l’esigenza di fare gruppo, di incontrarsi e di esprimersi confrontandosi con i propri coetanei; certo, alcuni non hanno le idee chiare e seguono mode che si rivelano deleterie e che li portano a conoscere realtà di emarginazione o addirittura il carcere. A noi adulti fa male sapere che tra le mura delle aule ci sono studenti, per fortuna pochi, che arrivano ad aggredire verbalmente o addirittura fisicamente i propri docenti, ma dobbiamo anche essere consapevoli che tanti ragazzi cercano nei propri insegnanti una figura di riferimento, un “qualcuno” che possa aiutarli a far emergere e a far fruttare i talenti che hanno. Sono tanti i giovani che sono impegnati a sviluppare il proprio talento musicale o a seguire una disciplina sportiva, così come quelli che si dedicano ad attività di volontariato: anche loro potrebbero avere un ruolo di primo piano nel romanzo “Una ragazza da amare”. Se i membri di un gruppo hanno gli stessi valori, come quello della lealtà e della capacità di assumersi le proprie responsabilità quando si commettono degli errori, allora la diversità non fa paura e non è un problema, se per diversità intendiamo il fatto che ognuno abbia un proprio carattere, dei limiti in certi ambiti e dei propri obiettivi.

Che tipo di lettore sei e qual è il tuo scrittore preferito? 

Dò molto spazio alla lettura e ho letto e riletto tante commedie di Eduardo De Filippo. Due sono le autrici che prediligo: Matilde Serao e Grazia Deledda. Ci sono libri che mi hanno fatto riflettere molto, che sento nel profondo del mio animo, come “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta, “L’isola di Sachalin” di Anton Checov e “Lettere dalle case chiuse” di Lina Merlin.

Una ragazza da amare”, è il titolo del libro, ma l’amore non è l’unico sentimento forte: è presente anche la morte, che fin dall’inizio turba Martina; la morte la spaventa ma convive con la sua malattia e il suo inesorabile decorso

Probabilmente per chi crede che dopo la morte non ci sia nulla, l’amore è un sentimento destinato a morire, a dissolversi insieme al nostro corpo. Chi invece concepisce questa vita terrena come il tratto di un percorso che non ha una fine, allora l’amore può essere pensato anche come un fuoco che si accende con la scintilla provocata dal contatto tra una mano d’uomo e quella di una donna. Due mani che si tengono, che non si lasciano, soprattutto nei momenti di difficoltà. Nel mio romanzo c’è un personaggio, Martina, che percepisce come la vita stia uscendo dal suo corpo, ma ciò non le impedisce di cercare l’amore e provare a cogliere tutto ciò che c’è di bello nell’amicizia, negli affetti, nello svago e nello studio. Anche la cronaca di questi ultimi anni ci ha fatto conoscere adolescenti e giovani che hanno lottato fino alla fine contro un male incurabile con tutte le proprie forze, lasciando semi di bontà nelle persone che hanno conosciuto e impegnandosi negli studi. Martina, allora, non è un personaggio che vive solo tra le pagine del mio libro.

La professoressa di latino, del tuo libro, è stata per caso una tua insegnante? O vorresti averla avuta un’insegnante cosi? 

A volte fare lo scrittore ti riduce a fare un po’ il burattinaio: “crei” dei personaggi e li fai muovere come vuoi soprattutto se sono personaggi che avresti voluto incontrare nella realtà. Purtroppo non ho avuto un’insegnante come quella che ho descritto nel mio libro: se l’avessi avuta ne avrei tratto tanti benefici. Sono convinto, però, che nella realtà della scuola italiana ci sono tanti docenti – e non solo di latino! – seriamente impegnati a seguire i propri studenti per formarli didatticamente e, soprattutto, per far sì che possano diventare dei buoni e responsabili cittadini.

Di che cosa ha bisogno la scuola di oggi secondo te? 

Oggi si parla tanto di “buona scuola” e per farla bisogna avere docenti capaci di trasmettere il piacere di apprendere e studenti disposti a impegnarsi nello studio. La scuola – e qui parlo come genitore di tre alunni – non ha bisogno di mettere in cantiere progetti per migliorare l’offerta formativa, ma insieme alla famiglia deve mettere i docenti in condizione di insegnare agli studenti e quest’ultimi sono chiamati a rispettare le basilari regole della buona educazione. Nel mio romanzo tra i ragazzi e la docente si instaura un rapporto di reciproca stima: i ragazzi non sono maleducati e in certe discipline ottengono ottimi voti, ed è per questo che anche quando commettono degli errori sarà proprio la docente ad intervenire affinché non ricevano severe punizioni.

Sono convinto che anche nella scuola di oggi ci siano docenti che stimano gli allievi che si danno da fare e fanno sì che questo rapporto di stima non venga meno nemmeno quando si commettono errori dovuti alla tipica esuberanza giovanile.

Chi ha letto per primo il tuo libro e perché? 

Come tutti i miei precedenti libri anche questo lo ha letto mia moglie e ovviamente si è data una spiegazione riguardo a certi miei modi di pensare e di fare…

Il romanzo può avere un seguito?

Sì, sto pensando ad un nuovo romanzo con i ragazzi che terminata la scuola iniziano a frequentare l’università e tra i protagonisti non mancherà la docente che hanno avuto al liceo.

(a cura di Chiara Marcon

Il volume si può reperire ordinandolo in tutte le librerie oppure in rete cliccando sul seguente collegamento: Una ragazza da amare di Carlo Silvano


martedì 6 giugno 2023

Pollena, Cenni storici sulla Congregazione del Santissimo Rosario

La Congregazione del Santissimo Rosario:

un pezzo di storia della parrocchia di San Giacomo Apostolo di Pollena

Secondo una relazione del 1721 a firma dell’allora parroco don Gaetano Maione, nella parrocchia di Pollena fu fondata, intorno al 1633, la Congregazione del Santissimo Rosario: le prime riunioni dei membri di questa confraternita si svolsero nella chiesa stessa, simbolo di unione e di devozione comune. In seguito, la congregazione ottenne una parte dell'adiacente chiesa di Sant'Apollinare, dove si radicò stabilmente. La congregazione si apriva a tutti i fedeli, uomini e donne, che versavano una quota mensile per sostenere le attività della confraternita.

L'ingresso nella Congregazione del Santissimo Rosario richiedeva un periodo di noviziato, in cui i candidati dimostravano la loro dedizione alla devozione alla Vergine Maria di Nazareth. Solo dopo questo periodo di prova venivano ammessi come membri a pieno titolo della confraternita. Una volta all'interno, i confratelli dovevano rispettare alcune regole di vita religiosa e sociale. I confratelli, ad esempio, si impegnavano ad astenersi dal frequentare osterie e a evitare comportamenti che potessero dare scandalo, come il tradimento coniugale. Queste regole promuovevano la moralità e la coesione sociale tra i membri.

La Congregazione del Santissimo Rosario era guidata da un priore, scelto tra i membri regolarmente iscritti della confraternita. Il priore, eletto democraticamente, aveva il compito di coordinare le attività della congregazione, presiedere le riunioni e promuovere la devozione alla Vergine Maria soprattutto attraverso la preghiera del Santo Rosario.


Un evento di particolare rilievo per la Congregazione del Santissimo Rosario era la processione annuale della statua della Vergine del Santissimo Rosario per le vie della parrocchia. Questa solenne manifestazione pubblica di fede rappresentava un momento di intensa devozione e coinvolgimento della comunità. I confratelli si univano per rendere omaggio alla Vergine, testimoniando l'importanza del culto mariano nella vita quotidiana. 

Uno dei privilegi concessi ai fedeli iscritti alla Congregazione del Santissimo Rosario era il diritto di essere seppelliti nella fossa della confraternita ubicata nell'ex chiesa di Sant'Apollinare. Questo privilegio sottolineava il forte legame tra i membri della congregazione e la promessa di una sepoltura dignitosa. Inoltre, il funerale era a spese della congregazione stessa, offrendo un ulteriore segno di solidarietà e di supporto spirituale tra i membri. 

Riscoprire e valorizzare la storia della Congregazione del Santissimo Rosario di Pollena, significa valorizzare il culto alla Vergine del Santissimo Rosario. In particolare, ancora oggi la preghiera del Santo Rosario, con i suoi Misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, si traduce nel fornire a ogni fedele un potente mezzo per meditare sulla vita di Gesù e di Maria.

Attraverso il culto alla Vergine del Santissimo Rosario, i membri della congregazione trovavano conforto e speranza nelle difficoltà e nelle prove della vita. La Madonna è sempre stata considerata una madre amorevole, pronta ad ascoltare le preghiere dei suoi figli e a intercedere per loro presso suo Figlio, Gesù Cristo. Questa devozione ha sempre contribuito a concretizzare un forte legame tra i fedeli, alimentando la solidarietà e l'amore fraterno all'interno della comunità. 

La Congregazione del Santissimo Rosario della parrocchia di Pollena si sciolse pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. (a cura di Carlo Silvano)


Altre notizie sulla Congregazione del Santissimo Rosario di Pollena si possono trovare nel volume “La comunità di Pollena dal 1760 al 1819. Note di storia sociale e religiosa”, ed. OGM 1998.

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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi.


 


 


giovedì 1 giugno 2023

Luigi, una persona buona e discreta della comunità di Pollena

«...capitava, e anche spesso, che da dietro un rovo o da un possente tronco di pioppo apparisse all’improvviso Luigi, un giovanotto del villaggio che andava in giro sempre scalzo, e che lanciava grida ed emetteva urla indescrivibili: i bambini, allora, si davano alla fuga. I più piccoli si spaventavano e correvano nella stessa direzione dei più grandi, ma questi ultimi fingevano solo di essere terrorizzati perché sapevano che Luigi non voleva e non era capace di fare del male a nessuno, e anche perché questo ragazzone meritava rispetto: non sapeva parlare, non era mai andato a scuola e aveva una sorella, semplice e buona, che piangeva ogni volta che qualcuno prendeva in giro suo fratello. Loro, i bambini, non volevano però che lei piangesse e allora evitavano di essere sgarbati con quel giovanotto incapace di parlare. 

Col passare degli anni Luigi sarebbe diventato adulto e col trascorrere del tempo sarebbe calato il numero delle persone che si divertivano a prenderlo in giro e a trattarlo male: con la sua infermità si sarebbe guadagnato la stima di tutto il paese, perché – e nessuno ha mai capito come facesse – riusciva a sapere chi fosse morto al semplice suono delle campane e a recarsi al funerale partecipando, e calzando delle scarpe solo per questo genere di occasioni, al corteo funebre che partiva dalla casa del defunto per arrivare in chiesa e dalla chiesa al camposanto. 

Luigi, con le sue scarpe sempre lucidate di un nero vivo, se ne stava in fondo al corteo con la sua semplicità e riservatezza, e anche la guardia municipale lo rispettava salutandolo con serietà e con un leggero inchino del capo. A Luigi non importava chi fosse il defunto: benestanti o poveri, persone conosciute o meno, giovani o anziani, buone o cattive che fossero state in vita, tutti quelli che in paese morivano ricevevano il suo commosso omaggio».

[ tratto dal racconto "La bambina della masseria Rutiglia" ]



La bambina della masseria Rutiglia: 91 anni fa

 

Oggi la protagonista de "La bambina della masseria Rutiglia", racconto ambientato tra Pollena e Cercola durante la Seconda guerra mondiale, avrebbe compiuto 91 anni: qui di seguito propongo alcune riflessioni personali sul primo brano del racconto.

«È appena l’alba con le gocce d’acqua color argento a coprire i sottili fili d’erba del ciglio del viottolo di campagna percorso da Carmelina che si è appena lasciata alle spalle la stalla dell’antica masseria “ Rutiglia”: anche quella mattina si era vestita in fretta e ora con sé portava il solito fiasco pieno di latte, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Per tutta la notte aveva piovuto e tante erano le pozzanghere lungo la stradina sterrata che attraversava frutteti e vigneti».

Il brano tratto dal racconto “La bambina della masseria Rutiglia” dipinge un'atmosfera tranquilla e pacifica all’alba, dove la bambina protagonista, Carmelina, si muove con il candore e la delicatezza tipica della sua giovane età. A soli dodici anni, la sua anima pura e innocente è evidente attraverso il modo in cui osserva e apprezza la bellezza della natura che la circonda.

Le gocce d’acqua color argento che coprono i fili d'erba del ciglio del viottolo di campagna suggeriscono una scena affascinante e quasi magica. Carmelina si sposta con attenzione, prendendo cura di non disturbare la quiete e la serenità del suo ambiente. Nonostante la fretta con cui si è vestita, porta con sé il fiasco di latte, simbolo della sua responsabilità e del suo amore per la sua famiglia.

La descrizione delle pozzanghere lungo la stradina sterrata rivela le conseguenze della pioggia notturna, ma Carmelina affronta questo ostacolo con determinazione. La sua preoccupazione nel fare attenzione a dove mette i piedi dimostra la sua premura per evitare di sporcarsi o cadere, evidenziando ancora una volta la sua natura premurosa e attenta.

Il candore di Carmelina è enfatizzato dalla sua giovane età e dalla sua dedizione alla sua famiglia. Nonostante le difficoltà e le condizioni avverse, lei affronta le sfide quotidiane con un cuore pieno di affetto e preoccupazione per coloro che le stanno intorno. Il suo impegno nel portare il latte a casa è un segno tangibile del suo desiderio di contribuire e prendersi cura dei suoi cari.

Questo brano offre una visione tenera e affascinante del mondo attraverso gli occhi di una ragazzina, mettendo in evidenza il suo candore e il suo amore per la sua famiglia. Anche la sua purezza d'animo si riflette nella sua attenzione ai dettagli e nella sua dedizione a compiere le sue responsabilità, nonostante le difficoltà che potrebbe incontrare lungo il cammino.

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Le due edizioni del racconto - entrambe pubblicate da Youcanprint - si possono reperire in una qualsiasi libreria oppure rivolgendosi direttamente all'editore cliccando sul seguente collegamento La bambina della masseria Rutiglia



domenica 21 maggio 2023

1736-1801, Le mammane di Pollena

 

Pollena Trocchia - Dallo studio dei libri V e VI di Battesimo della chiesa di “San Giacomo Apostolo il Maggiore” di Pollena, che abbracciano il periodo storico che va dal 1736 al 1801, emerge una delle figure sociali più caratteristiche del casale di Pollena, quella della “mammana”, l’attuale ostetrica, chiamata anche “levatrice”, e che in un certo senso incarnava il ruolo di una figura materna, e assisteva le donne durante il parto e il periodo postpartum. La sua presenza e il suo sostegno erano di fondamentale importanza per le donne che affrontavano l’esperienza del parto, spesso accompagnata da ansie e dolori.

Grazie all'opera delle "mammane" dai libri parrocchiali si ricavano informazioni sull'estensione del territorio della Parrocchia di Pollena: al fonte battesimale della chiesa di San Giacomo di Pollena furono portati anche bambini nati, ad esempio, a Caravita, nelle masserie Filichito, Miranda, Attingente, Monte Oliveto Grande e Monte Oliveto Piccolo, e altre ancora. In altre parole, nel XVIII secolo la giurisdizione della parrocchia di Polleba andava oltre gli attuali confini.

La “mammana” doveva essere considerata una persona compassionevole e devota, impegnata a sostenere le donne nel momento della maternità. La sua attività professionale si basava sull’aiutare le neo mamme durante il travaglio, la nascita e il periodo post-partum. Questo ruolo richiedeva una conoscenza delle pratiche sanitarie e un profondo impegno nell’assistenza alle donne in uno dei momenti più importanti e delicati della loro vita.

Sotto il profilo spirituale, la figura della “mammana” doveva essere vista come un tramite di grazia divina, poiché offriva sostegno e conforto alle donne durante il processo del parto. La sua presenza rappresentava anche una connessione tra il mondo terreno e quello spirituale, in cui si creava un legame speciale tra la madre, il bambino e Dio.

Nel periodo preso in considerazione (1736-1801) la professione della “mammana” si basava su una solida etica professionale, che le impediva di praticare aborti o di farsi coinvolgere in atti di superstizione in caso di parti difficili. Questo aspetto morale della sua professione sottolinea il suo rispetto per la vita e la sua dedizione a seguire i principi morali e religiosi della comunità. La sua responsabilità era quella di preservare la salute e il benessere delle donne, nel rispetto della sacralità della vita umana.


Nel contesto spirituale, la figura della “mammana” potrebbe essere considerata come un esempio di servizio altruistico e di dedizione verso gli altri. Il suo impegno nel fornire cure e supporto alle donne richiedeva una profonda compassione e una grande sensibilità verso le necessità e le paure delle neo mamme. La sua presenza, quindi, poteva essere vista come una manifestazione tangibile dell’amore e della cura divina per le sue creature. 

Informazioni sulla figura della "mammana" si possono reperire dal volume "La comunità di Pollena dal 1760 al 1819. Note di storia sociale e religiosa", da pagina 109 a pagina 116. 


 

mercoledì 17 maggio 2023

Pollena, la devozione a san Michele arcangelo nella cappella di palazzo Valente

 


(nella foto un rosone e l'ingresso alla cappella di san Michele arcangelo a Pollena)

Pollena Trocchia - La figura di San Michele arcangelo è di grande importanza nella tradizione religiosa e spirituale: san Michele è considerato uno degli arcangeli principali, un guerriero celeste e un difensore della fede. Il suo nome significa “Chi è come Dio?”, che rappresenta il suo ruolo di difendere la volontà divina e combattere il male.

San Michele è spesso, così, rappresentato come un guerriero che combatte il diavolo o come un angelo che pesa le anime nella bilancia del giudizio divino. La sua figura incarna coraggio, forza e giustizia ed è considerato un protettore, sia a livello individuale che collettivo, e molti credenti ricorrono a lui per chiedere protezione, guida e intercessione divina.

Un tempo sul territorio della comunità parrocchiale di Pollena, cioè nel palazzo Valente, esisteva una cappella intitolata a san Michele, consacrata nel 1703 e aperta ai fedeli almeno fino nei primi decenni dell’Ottocento, e oggi sarebbe importante riscoprire la figura e la devozione nei confronti dell'arcangelo Michele, perché ciò può avere molteplici significati spirituali. Innanzitutto, il recupero, almeno simbolico, della cappella intitolata a san Michele arcangelo e la cura dei suoi ruderi possono rappresentare un momento di rinnovamento e ripristino della fede nella comunità. L’eventuale presenza di una cappella dedicata all'arcangelo Michele potrebbe offrire uno spazio sacro per la preghiera e la riflessione, un luogo in cui i fedeli possono raccogliersi e trovare conforto spirituale.

Inoltre, la figura di San Michele può ispirare la comunità di Pollena ad abbracciare i valori di coraggio, giustizia e difesa della fede. Può fungere da modello di virtù e come guida spirituale nella lotta contro il male, sia a livello individuale che collettivo. Riscoprire la devozione nei confronti di san Michele potrebbe incoraggiare la comunità a perseverare nella fede, a combattere l'ingiustizia e ad affrontare le sfide con coraggio e fiducia.

Infine, la devozione a san Michele può promuovere l'unità e la coesione nella comunità. La condivisione di una figura di riferimento spirituale può favorire un senso di appartenenza e solidarietà tra i membri della parrocchia. La celebrazione di festività o momenti di preghiera dedicati a san Michele arcangelo può fungere da momento di comunione e condivisione di valori spirituali.

In conclusione, riscoprire la figura e la devozione nei confronti di san Michele arcangelo può avere un impatto significativo sulla comunità parrocchiale di Pollena. Attraverso la riflessione sulla sua figura, i fedeli possono trarre ispirazione per la loro vita spirituale, trovare conforto e protezione, e promuovere l'unità all'interno della comunità stessa.

Informazioni sulla cappella di san Michele arcangelo ai Galitti si possono reperire nel volume “La comunità di Pollena dal 1760 al 1819. Note di storia sociale e religiosa”.

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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi.


 




domenica 14 maggio 2023

La cappella dell'Avetrana tra Pollena e Massa di Somma

 

La Cappella dell’Avetrana si trovava tra i casali di Pollena e di Massa di Somma, e doveva essere un luogo di grande importanza storica e spirituale per la comunità locale. Questa cappella, un tempo custode di un eremo, era dedicata alla Vergine Maria.

Nel 1740 l’eremo della Cappella dell'Avetrana ospitava due eremiti, che conducevano una vita dedicata alla preghiera e alla contemplazione. La scelta di vivere in un eremo, lontano dalla società e dalle sue distrazioni, era comune tra i cristiani del passato che cercavano di seguire una vita di preghiera e penitenza, in modo da avvicinarsi a Dio. Gli eremiti passavano le loro giornate pregando, meditando e lavorando per guadagnarsi il pane quotidiano. La vita eremitica era spesso molto dura, ma per molti era anche molto gratificante, poiché permetteva loro di dedicarsi completamente a Dio e alla propria spiritualità.

La devozione alla Vergine Maria era centrale nella vita degli eremiti e in generale nella tradizione cristiana. Maria, madre di Gesù, è considerata la più grande tra tutti i santi e viene spesso invocata come la “Madre della Misericordia”. La sua figura, simbolo di amore, compassione e protezione, è stata al centro di molte preghiere e di molte opere d'arte. La statua della Vergine dell'Avetrana rappresentava per gli eremiti un simbolo di speranza, conforto e protezione, e la loro devozione verso di lei doveva certamente essere profonda e sincera.

Oggi la Cappella dell'Avetrana non esiste più a causa delle eruzioni del Vesuvio, ma la storia degli eremiti che vivevano in quel luogo di preghiera è un esempio di come la vita dedicata a Dio e alla spiritualità, possa essere una scelta valida e significativa per molte persone. La vita semplice e austera degli eremiti ci invita a riflettere sulla nostra relazione con il divino, e sulla nostra capacità di trovare significato e scopo nella preghiera e nella meditazione.


Alcune notizie sulla cappella dell’Avetrana si possono trovare nel volume “La comunità di Pollena dal 1760 al 1819. Note di storia sociale e religiosa”, pagina 42.