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Nella notte in cui fu tradito...
Quando, durante la Santa Messa, ascolto le parole del sacerdote che dice: “Nella notte in cui fu tradito…”, sento un momento solenne che va oltre la consuetudine della liturgia. Mi sembra quasi che il tempo si fermi e che quelle parole risuonino non solo nelle mie orecchie, ma nel profondo del mio animo. In quel breve istante, la celebrazione della Messa diventa anche un invito personale a fermarmi e riflettere.
La frase “nella notte in cui fu tradito” non parla solo di un evento storico. È un ricordo che richiama il sacrificio di Gesù e l’amore con cui ha accettato di donarsi per noi, anche quando uno dei suoi amici più vicini lo ha tradito. Questa riflessione mi fa rendere conto di quanto la sua scelta di accettare la sofferenza e la morte sia una lezione di amore incondizionato, uno slancio di misericordia che abbraccia ogni uomo e ogni donna, me compreso. Nonostante la nostra fragilità, le nostre cadute e i nostri tradimenti, Gesù ha scelto di amarci fino alla fine.
Ogni volta che il sacerdote pronuncia queste parole, mi domando: come rispondo a un amore così grande? Sono consapevole di quanto la mia vita e le mie azioni riflettano il dono che ho ricevuto? Oppure, come Giuda, mi lascio sopraffare da paure, egoismi e debolezze che mi allontanano da Lui?
Questa frase mi invita a riconoscere le mie infedeltà, non con senso di colpa sterile, ma come occasione per chiedere perdono e rinnovare la mia fedeltà. È un momento di verità, un invito a riflettere sul mistero della nostra fede, su cosa significa davvero seguire Cristo e imitarlo nell’amore e nel perdono. Fermarmi a riflettere in questo momento della Messa è un modo per non vivere la liturgia solo come un rito esterno, ma come un’esperienza intima che mi trasforma.
Capisco che questa frase è un richiamo costante a riconoscere la mia chiamata a essere testimone dell’amore di Cristo nel mondo, a rispondere con umiltà e gratitudine a quel sacrificio. Quando ascolto “nella notte in cui fu tradito”, sento, quindi, che anche a me è chiesto di scegliere: accogliere quell’amore nella mia vita e fare di ogni giorno una risposta a quel dono immenso. (Carlo Silvano)
Pollena Trocchia, Conoscere per arricchirci e arrivare a Dio
«Lascia che la conoscenza cresca, che la vita si arricchisca» è, a mio avviso, un’affermazione che richiama una visione profondamente cristiana del rapporto tra conoscenza e vita, un binomio che nel Vangelo e nel Catechismo della Chiesa cattolica trova senso e direzione nell’amore e nella verità di Dio.
1. La conoscenza come cammino verso Dio
Nel Vangelo, Gesù invita a cercare la verità e la sapienza come vie che conducono a Lui, che è “via, verità e vita” (Giovanni 14,6). La conoscenza non è, quindi, un fine in sé, ma un mezzo per scoprire e incontrare Dio. Il desiderio di conoscere diventa, per il cristiano, un desiderio di comprendere meglio la creazione, le Scritture e il mistero di Cristo, con la consapevolezza che ogni cosa è ordinata verso la verità divina. Il Catechismo sottolinea infatti che “l'uomo è chiamato alla beatitudine divina, attraverso la conoscenza e l’amore di Dio” (CCC 1721). Questo ci insegna che la conoscenza, per quanto importante e arricchente, acquista il suo vero valore quando orientata verso il bene supremo e verso Dio.
2. La vita che si arricchisce nella relazione con l’altro
L’affermazione suggerisce anche che la conoscenza non dovrebbe essere un semplice accumulo di informazioni, ma un elemento che arricchisce e trasforma la nostra vita, rendendola feconda per noi e per gli altri. Come afferma san Paolo, “La scienza gonfia, mentre la carità edifica” (1 Corinzi 8,1), indicando che la conoscenza sterile, priva di amore, porta solo a un egoismo vuoto. Al contrario, la conoscenza che arricchisce la vita è quella che promuove l’amore e il servizio verso il prossimo. Il Catechismo aggiunge che “la conoscenza e l’amore di Dio si sviluppano grazie alla preghiera, all’osservanza dei comandamenti e alla partecipazione alla vita della Chiesa” (CCC 1814), che orientano la vita cristiana verso una pienezza di senso.
3. La conoscenza nella luce della sapienza cristiana
L’invito a far crescere la conoscenza si collega al dono della sapienza, uno dei doni dello Spirito Santo, che permette al cristiano di vedere le cose alla luce di Dio e vivere in armonia con la Sua volontà. Come insegna il Catechismo, “i doni dello Spirito Santo sono disposizioni permanenti che rendono l’uomo docile a seguire le ispirazioni divine” (CCC 1830). In questo senso, la vera conoscenza non è solo intellettuale, ma spirituale: un discernimento che permette di vivere e operare con amore, giustizia e umiltà.
4. La conoscenza e il dovere di testimonianza
Infine, il Vangelo ci invita a far fruttare i talenti e le conoscenze ricevute (Matteo 25,14-30). Lasciar crescere la conoscenza implica anche un impegno di testimonianza e di responsabilità, per contribuire alla costruzione del Regno di Dio sulla terra, utilizzando i doni ricevuti per il bene della comunità. La Chiesa ci incoraggia infatti a vivere e testimoniare la verità con “libertà e responsabilità” (CCC 2467), affinché la nostra vita sia arricchita nella misura in cui essa arricchisce e serve gli altri.
In conclusione, la conoscenza che cresce in senso cristiano è quella che, illuminata dalla fede, porta a un arricchimento interiore e alla capacità di vivere una vita piena, realizzando il proprio cammino di fede e servizio con la consapevolezza di essere parte di un disegno di amore divino. Solo così la vita si arricchisce davvero: quando è radicata nell’amore di Dio e nella carità verso il prossimo. (Carlo Silvano)