martedì 1 luglio 2025

Carlo Silvano, Una giornata a Napoli

Una giornata a Napoli

di Carlo Silvano

Mercoledì 11 giugno, il cielo sopra Pollena Trocchia prometteva caldo e luce già dalle prime ore del mattino. Io e mio figlio S., zaino leggero in spalla e curiosità negli occhi, siamo saliti sulla Circumvesuviana, quella vecchia spina dorsale che attraversa l’umanità vesuviana tra comuni e campi incolti ingialliti dal sole. Mentre il treno cigolava verso piazza Garibaldi, la città cominciava a chiamarci: era un richiamo di voci, odori e promesse di meraviglia.

A Napoli si scende sempre in un vortice. Dalla metropolitana siamo sbucati a piazza Municipio, un cantiere eterno tra storia e asfalto dissestato, e ci siamo ritrovati subito ai piedi del possente Castel Nuovo, chiamato anche Maschio Angioino, con le sue torri grigie come antichi guardiani del tempo. Dentro, ci aspettava la Sala dei Baroni, con le sue volte alte e silenziose che sembravano custodire ancora i sussurri delle corti e dei congiurati. Abbiamo visitato la cappella, il museo civico e poi, salendo fino alle terrazze, ci siamo trovati davanti al porto: un panorama vivo, palpitante, con traghetti che andavano e tornavano dalle isole del Golfo, gabbiani che planavano sul vento e il mare che scintillava come una promessa.

A piedi ci siamo incamminati verso Port'Alba, attraversando anche vicoli stretti e pieni di voci, motorini sfreccianti e murales scoloriti. Eppure, in quel caos, Napoli mostrava la sua anima: palazzi scrostati che raccontavano secoli, balconi pieni di panni stesi come bandiere della vita quotidiana e voci che si intrecciavano come note di una canzone eterna.

A Port'Alba, tra le bancarelle di libri antichi e scoloriti, ho trovato due volumi che mi chiamavano: uno sul brigantaggio, quell’altra faccia della storia del Sud, e un altro dedicato proprio alla storia profonda e stratificata della città. Prima però ci siamo fermati nella pizzeria più antica di Napoli. Seduti a un tavolino, tra mattoni a vista e profumo di forno a legna, abbiamo gustato una fresca insalata di polpo e degli spaghetti alle cozze che sapevano di mare vero, quello vissuto, salato, ruvido.

Poi, ancora a piedi, ci siamo diretti verso la funicolare. Salire a San Martino è come salire sopra il tempo. Una volta su, Castel Sant’Elmo ci ha accolti con i suoi bastioni ampi e silenziosi. Dall’alto, la vista era mozzafiato: il Vesuvio si stagliava immobile e maestoso, le isole del Golfo – Capri, Ischia, Procida – brillavano come gemme sul velluto del mare e la città si stendeva sotto di noi, vibrante, stanca, viva.

Lì, con il vento che ci spettinava i pensieri, ho guardato mio figlio. Era assorto, col volto illuminato da quella luce intensa che Napoli sa regalare solo a chi sa guardarla davvero. Era un momento di silenzio padre-figlio, di quelli che restano impressi anche quando le parole si dissolvono.

Il ritorno, tra funicolare, metropolitana e poi di nuovo la Circumvesuviana, è stato più silenzioso. La stanchezza si faceva sentire, ma era quella bella, che profuma di scoperta.

Napoli ci ha dato molto in quel giorno. Ci ha mostrato la sua arte, la sua storia, il suo cuore indomito. Ma ci ha anche fatto riflettere. Troppe bellezze sono lasciate a se stesse. Un’Amministrazione municipale più attenta al decoro urbano, alla sicurezza, al rispetto dei suoi stessi tesori, renderebbe questa città non solo magica, ma anche accogliente e giusta per chi ci vive e per chi la visita.


Eppure, anche con le sue crepe,
Napoli resta unica. E noi, quel giorno, l’abbiamo vissuta così: pienamente, con gli occhi spalancati e il cuore aperto. Una giornata che non dimenticheremo.

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Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare al seguente collegamento della libreria Feltrinelli:  Libri di Carlo Silvano alla Feltrinelli 


"Una ragazza da amare", di Carlo Silvano, è un romanzo breve rivolto soprattutto agli studenti e ai docenti: racconta le avventure di alcuni liceali che affrontano la grave malattia di un'amica, gli studi e un sogno musicale. Nel libro l'autore fa chiari riferimenti alla sua terra d'origine, dimostrando una vasta conoscenza della città di Napoli e facendo conoscere vie, scuole, piazze e monumenti che i suoi protagonisti frequentano. Nel romanzo i luoghi sono descritti con dovizia di particolari: chi li conosce corre ai propri ricordi, mentre chi non li ha mai visti può averne un quadro chiaro grazie alle descrizioni offerte. Gli odori, le atmosfere e il contesto della città fanno da sfondo, ma ritornano spesso. Ricorrente è il mondo della scuola: la maggior parte delle vicissitudini dei protagonisti avvengono tra i banchi del liceo e hanno, comunque, a che fare con lo studio. Il libro ha una sua precisa trama e alla fine lascia che sia il lettore a immaginare le strade che ogni personaggio può aver intrapreso. Nello stile di scrittura dell'autore appare evidente il suo approccio morale e dietro la trama e le avventure dei personaggi corre velatamente un messaggio educativo-didattico.




giovedì 5 giugno 2025

"La figlia del professore", Perché una storia così dura ?

 


Ci saranno dei lettori che riguardo al mio romanzo intitolato “La figlia del professore”, sarà pubblicato entro la metà di giugno 2025, si chiederanno: perché scrivere una storia così dura? Così cupa, apparentemente senza vie d’uscita?

La mia risposta è semplice: perché la letteratura non deve consolare, ma svegliare. Non deve nascondere la realtà, ma renderla visibile. E in questo romanzo, la realtà che ho voluto raccontare è fatta di emarginazione, silenzio, degrado. Ma è anche una realtà attraversata da lampi di dignità, da resistenze interiori che non fanno rumore, ma esistono.

Il padre, il professore, non è un santo. È un uomo che ha sbagliato, che ha taciuto quando avrebbe dovuto parlare, che ha rinunciato a lottare fino in fondo. Ma è anche un uomo che prova ancora a interrogarsi, a comprendere, a fare i conti con ciò che ha lasciato marcire. La figlia, dal canto suo, non è un simbolo della colpa. È una creatura ferita, ma ancora capace di desiderare una via d’uscita.

Non mi interessa proporre personaggi esemplari. Mi interessano quelli veri. Quelli che inciampano, che si contraddicono, che soffrono e però non si arrendono del tutto.

E c’è un momento, verso la fine del romanzo, in cui la ragazza scrive una poesia all’alba, dopo una notte insonne. È uno dei momenti per me più intensi del libro, perché in quelle parole — scritte in silenzio, senza pubblico, senza clamore — c’è tutta la potenza della speranza.

Perché sì, questo è un romanzo sulla solitudine, sulla malattia, sulla morte. Ma è anche un romanzo sulla possibilità. Sulla possibilità di scegliere, anche tardi. Di cambiare direzione, anche se tutto sembra compromesso. Di dire: non so come, non so quando, ma ci riuscirò.

E forse è proprio questo che volevo lasciare al lettore. Non una morale. Non una soluzione. Ma una domanda: e io, al posto loro, che cosa farei?

Se questo romanzo riesce a fare spazio dentro di noi per una riflessione vera, allora il mio compito è compiuto. (Carlo Silvano)

venerdì 30 maggio 2025

"La figlia del professore" (romanzo): uno sguardo sociologico

 

Uno sguardo sociologico

su La figlia del professore

Ho scritto La figlia del professore come un romanzo (sarà pubblicato entro giugno 2025), ma fin dalle prime pagine ho sentito che stavo attraversando anche territori propri della riflessione sociologica. In fondo, ciò che racconto è il declino di due vite individuali intrecciate ai mutamenti profondi della società italiana degli ultimi decenni: la delusione politica, l’erosione delle istituzioni educative, la trasformazione della famiglia e il vuoto culturale che ne consegue.

Dal punto di vista della sociologia dei mutamenti culturali, il romanzo esplora il passaggio da un’epoca segnata da ideologie forti e impegni collettivi — come quella vissuta dal professore nella sua giovinezza — a una società sempre più individualizzata, liquida, priva di riferimenti stabili¹. L’uomo che un tempo credeva nella scuola come presidio civile e nella politica come strumento di giustizia sociale si ritrova smarrito in un mondo dove le promesse del progresso si sono sbriciolate.

In chiave di sociologia politica, il romanzo mette in scena un’analisi quasi autoptica della degenerazione morale di una certa Sinistra italiana. Il protagonista ha visto il suo partito abbandonare i principi in nome del potere, ha taciuto per non “sporcare” la causa, ed è diventato — senza volerlo — complice di ciò che aveva sempre combattuto². È un tema, questo, che riguarda molte esperienze politiche europee, in cui la distanza tra i gruppi di potere e le periferie sociali ha finito per alimentare il rancore e l’apatia.

Dal punto di vista della sociologia dell’educazione, il romanzo interroga direttamente il senso della scuola. Il professore ha dedicato la sua vita all’insegnamento, credendo di poter lasciare un’impronta sui giovani. Ma nel confronto con la propria figlia — una ragazza cresciuta nel vuoto affettivo, che si prostituisce per pagarsi la droga — si accorge che il sapere da solo non salva, se manca una rete di senso, se l’educazione non è anche affetto, ascolto, testimonianza³.

Il fallimento educativo non riguarda solo la sua esperienza familiare, ma anche un sistema più ampio, in cui l’istruzione ha perso la sua funzione emancipatrice, riducendosi spesso a meccanismo burocratico o di selezione sociale⁴.

Infine, il cuore più profondo del romanzo tocca la sociologia della famiglia. Non esistono famiglie “normali” nel libro, ma solo legami spezzati, interrotti, dimenticati. Il rapporto tra il professore e sua figlia è il simbolo di una generazione di padri che, pur avendo buone intenzioni, non è riuscita a costruire un dialogo autentico con i propri figli⁵.

La loro incomunicabilità è il riflesso di un impoverimento affettivo che attraversa molte realtà contemporanee: famiglie disgregate, madri assenti, padri inadeguati, figli che non trovano più casa nemmeno tra le mura domestiche.

La figlia del professore non pretende di offrire soluzioni. Ma pone domande, e credo che oggi sia già molto. A chi si occupa di sociologia, forse interesserà questa narrazione perché, nella sua finzione letteraria, restituisce il peso del vissuto reale, le tensioni di fondo che animano le nostre trasformazioni sociali. In definitiva, questo romanzo è anche un tentativo di raccontare cosa accade quando gli ideali pubblici si svuotano e i legami privati si spezzano: resta il bisogno, profondamente umano, di non essere soli⁶.

 

Note

  1. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza 2002; U. Beck, La società del rischio, Carocci, 2000.

  2. Cfr. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza 1996; F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1992.

  3. P. Freire, Pedagogia degli oppressi, EGA 1971; E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina, 2000.

  4. P. Bourdieu, J.-C. Passeron, La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema di insegnamento, Guaraldi 1972.

  5. P. Donati, M. Scabini, Famiglia: soggetto sociale, Edizioni San Paolo 1990.

  6. F. Ferrarotti, La sociologia come esperienza, Armando 1999.

     

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    Il presente blog è curato da Carlo Silvano, autore di numerosi volumi. Per informazioni cliccare sul collegamento che segue della libreria "La Feltrinelli": Libri di Carlo Silvano su Feltrinelli

martedì 20 maggio 2025

Non tutti i pinguini sono gay, ma il gorilla è un vero Don Giovanni

 


Non tutti i pinguini sono gay, 

ma il gorilla è un vero Don Giovanni (1)

Soprattutto nei social dove si dibattono con fervore questioni sociali di grande importanza, emerge una teoria degna di nota: l’omosessualità deve essere accettata perché esistono alcuni pinguini che la praticano. Ebbene sì, lo sapevate? Alcuni pinguini sono gay! Questa sorprendente rivelazione non solo ci costringe a rivedere le nostre idee sulla vita animale, ma ci fornisce anche una guida morale per modellare le nostre società umane. Perché, come tutti sappiamo, se lo fa un pinguino, allora dobbiamo farlo anche noi. 

 Quindi, care lettrici e lettori, tenetevi stretti ai vostri cappelli di lana, perché il safari filosofico nel mondo delle creature pelose e pennute non si ferma qui. Se dobbiamo accettare l’omosessualità sulla base delle tendenze sessuali di una minoranza di pinguini, allora cosa dovremmo fare con le altre abitudini amorose degli animali? C’è un intero bestiario di comportamenti sessuali e relazionali pronti a dettarci la legge. Ad esempio, sapevate che i gorilla, gli gnu e persino il simpatico diavolo della Tasmania, non solo praticano la poligamia, ma la portano avanti con uno zelo che fa­rebbe arrossire perfino il più scapestrato Casanova? 

 Ora, non fraintendetemi. Se un pinguino decide di condividere il suo igloo con un altro pinguino dello stesso sesso, chi siamo noi per giudicare? Magari è semplicemente stanco delle pinguine che lo ignorano. Forse ama le lunghe conversazioni sul ghiaccio o le sessioni di nuoto sincronizzato. Tuttavia, dovremmo essere coerenti. Se la vita amorosa del pinguino ci detta nuove norme sociali, allora, cari amici, non possiamo ignorare il resto del regno animale. 

 Prendiamo i gorilla, ad esempio. Questi gentili giganti non solo praticano la poligamia, ma la considerano una necessità della vita. Il capo del branco, noto per la sua forza e saggezza, ha l’onere di mantenere una collezione di compagne, ognuna con esigenze e aspettative diverse. E mentre noi umani ci dibattiamo tra monogamia, appuntamenti online e dilemmi amorosi, il gorilla ha capito tutto: più compagne, più divertimento. Certo, gestire una casa con una moglie è già una sfida per molti, ma immaginate di avere un harem da gestire. Forse i gorilla sanno qualcosa che noi non sappiamo. 

 E poi c’è lo gnu, che corre libero nelle pianure africane, non vincolato da inutili concetti umani come la fedeltà coniugale. Per lo gnu, la poligamia non è solo accettata, è la norma. E vogliamo parlare del Diavolo della Tasmania? Un animale che, nonostante il nome infernale, ha una vita sentimentale a dir poco tumultuosa. Si accoppia con chi vuole, quando vuole, senza preoccuparsi delle aspettative sociali o della morale comune. E quindi, se dobbiamo emulare i pinguini, perché non anche i gorilla, gli gnu o i diavoli della Tasmania? 

 In conclusione, se vogliamo prendere lezioni di etica sessuale dal regno animale, allora dobbiamo essere onesti e includere tutti i comportamenti nella nostra nuova guida morale. La natura è una maestra meravigliosa, ma anche terribilmente confusa. Ci insegna che la monogamia è sopravvalutata, che la fedeltà è opzionale, e che, se un pinguino può essere gay, allora un gorilla può avere un intero harem senza sentirsi minimamente in colpa. La vera domanda è: siamo pronti ad accogliere tutte queste lezioni nella nostra società? Dopotutto, se la natura è il nostro guru morale, allora dobbiamo seguirla fino in fondo. Ma ricordate, non tutti i pinguini sono gay, e non tutti gli umani sono pronti a vivere come un gorilla o un diavolo della Tasmania.
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(1) brano tratto dal volume "Non tutti i pinguini sono gay... e altre storie", di Carlo Silvano, ed. Youcanprint 2024, isbn 9791222760773, pp. 34-37.

Il volume si può ordinare in tutte le librerie fisiche e on-line come, ad esempio, Il Libraccio al seguente collegamento: Libreria Il Libraccio


venerdì 25 aprile 2025

Famiglia tra crisi e vocazione

Famiglia tra crisi e vocazione

Testimoniare la bellezza del progetto di Dio

nell’epoca della frammentazione 

di Carlo Silvano 

In un contesto culturale che sembra voler ridefinire radicalmente le relazioni, i ruoli e persino l’identità dell’uomo e della donna, la famiglia cristiana si trova al centro di tensioni, interrogativi e sfide inedite. Quale visione antropologica ispira i nuovi modelli proposti dalla società postmoderna? In che modo la Chiesa può accompagnare le famiglie a vivere la loro vocazione in fedeltà al Vangelo? E come può una coppia cristiana essere oggi un segno profetico di comunione, stabilità e amore generativo?

Qui di seguito provo ad offrire delle riflessioni attorno ad alcune domande decisive, ovvero: Quali attacchi subisce oggi la famiglia? Quali modelli alternativi propone la società? Come può una famiglia cristiana essere luce nel mondo?

Con questo mio contributo spero di poter aiutare pastori, educatori e famiglie a discernere il tempo presente con coraggio evangelico e speranza.

Quali sono oggi gli attacchi più evidenti che la famiglia subisce nella società contemporanea?

La famiglia è oggi messa sotto pressione da più fronti: culturale, legislativo, economico e mediatico. La sociologia della religione (penso, ad esempio, a Peter Berger o Charles Taylor) ci mostra come la modernità abbia prodotto una frammentazione dei riferimenti morali, un declino del senso del sacro e, conseguentemente, un indebolimento delle istituzioni tradizionali, tra cui la famiglia. A questo si aggiunge una narrativa dominante che esalta l’individualismo, l’autonomia assoluta e il desiderio come misura di ogni diritto. In questo contesto, la famiglia naturale viene spesso vista come un vincolo “restrittivo”, piuttosto che come un luogo generativo di libertà e comunione.

Quali modelli alternativi alla famiglia propone oggi la società postmoderna?
La cultura odierna propone
modelli alternativi fluidi, fondati non più su una struttura stabile, ma su legami emotivi temporanei, reversibili, spesso sganciati dalla differenza sessuale e dalla generatività. Pensiamo alle “famiglie d’anima”, alle convivenze multiple, alle unioni tra persone dello stesso sesso con accesso all’adozione o alla maternità surrogata.

Questi modelli rispondono a un bisogno autentico di relazione, ma non ne custodiscono la verità antropologica. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC §§ 1601-1605), il matrimonio tra uomo e donna è iscrizione sacramentale nel progetto di Dio: riflette l’alleanza tra Cristo e la Chiesa, non è solo un contratto, ma una vocazione all’amore totale, fedele e fecondo.

Alla luce dei Vangeli e del Magistero, quale identità positiva propone la Chiesa per la famiglia?

I Vangeli parlano chiaro: Gesù non abolisce il matrimonio, ma lo riporta alla sua verità originaria (cf. Marco 10,6-9). L’amore coniugale è chiamato a diventare segno sacramentale dell’amore di Dio: un amore che si dona senza misura, anche nella croce. Papa Giovanni Paolo II, con la sua “Teologia del corpo”, ha ridato voce alla bellezza dell’amore umano: corpo, affettività e sessualità non sono da reprimere, ma da redimere. L’uomo e la donna, nel dono reciproco, diventano immagine visibile dell’invisibile Dio. Papa Benedetto XVI ha sottolineato il legame tra verità e amore: “solo nella verità l’amore può essere autentico” (Caritas in veritate, 3). La famiglia cristiana è allora una scuola di verità affettiva, dove si impara che amare non è “sentire”, ma decidersi ogni giorno per l’altro, anche nella fragilità.

In questo contesto, come può una famiglia cristiana essere luce nel mondo?

Oggi la famiglia cristiana è chiamata ad essere profezia vivente. Non con la perfezione, ma con la fedeltà. Quando una coppia si ama davvero, perdona, accoglie i figli, prega insieme, celebra l’Eucaristia, sta dicendo qualcosa di inaudito al mondo: che la comunione è possibile e che Dio abita l’umano.

La Chiesa chiama ogni famiglia a essere “chiesa domestica” (CCC §2204), piccolo santuario di vita e di amore. Non si tratta solo di resistere al mondo, ma di illuminarlo con una testimonianza vissuta. Una famiglia che accoglie, serve, educa, evangelizza, anche solo col suo stile di vita, può cambiare più del miglior discorso. È, direbbe il Concilio Vaticano II, lievito nel mondo (GS, 52). (Carlo Silvano)

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giovedì 20 febbraio 2025

Dante Alighieri ci insegna a non sprecare i doni ricevuti, come la vita e il denaro

 

Invito alla lettura della "Divina Commedia"
 
Dante Alighieri ci insegna
a non sprecare i doni ricevuti,
come la vita e il denaro
 
Nel tredicesimo canto dell’Inferno della “Divina Commedia”, Dante e Virgilio si addentrano nel secondo girone del settimo cerchio, dove sono puniti coloro che hanno commesso violenza contro se stessi: i suicidi e gli scialacquatori. Questo luogo è descritto come una selva cupa e intricata, priva di sentieri, con alberi dai rami contorti e foglie scure, un ambiente che evoca desolazione e sofferenza. In questa foresta dimorano le Arpie, creature mitologiche con volto di donna e corpo di uccello, che nidificano sugli alberi e si nutrono delle loro foglie, causando dolore agli spiriti imprigionati in essi. I dannati suicidi, infatti, sono trasformati in piante tormentate dalle Arpie, un contrappasso che riflette la loro scelta di rinunciare al corpo terreno attraverso il suicidio. 
Durante il loro cammino, Dante e Virgilio incontrano l’anima di Pier della Vigna, un tempo consigliere dell’imperatore Federico II. Accusato ingiustamente di tradimento, Pier della Vigna si tolse la vita e ora si trova intrappolato in un albero. Per comunicare con lui, Dante spezza un ramo, provocando dolore all’anima e facendo sgorgare sangue dal tronco. Questo gesto simboleggia la sofferenza causata dalla violenza autoinflitta e l’irreversibilità del suicidio. Nel prosieguo del canto, i poeti assistono alla fuga di due scialacquatori, Lano da Siena e Jacopo da Sant’Andrea, inseguiti da cagne infernali che li dilaniano senza pietà. Gli scialacquatori, che in vita dissiparono le proprie ricchezze fino alla rovina, sono condannati a una perpetua caccia, rappresentazione della loro esistenza sregolata e autodistruttiva. 
Il contenuto morale del canto si focalizza sulla condanna della violenza contro se stessi, sia attraverso il suicidio che mediante lo sperpero delle proprie risorse. Dante sottolinea l’importanza di preservare la propria vita e i propri beni, considerandoli doni divini da custodire con responsabilità. La trasformazione dei suicidi in alberi e la caccia eterna degli scialacquatori rappresentano il contrappasso per coloro che hanno disprezzato tali doni. Lo stato d’animo di Dante in questo canto è caratterizzato da compassione e turbamento. La descrizione dettagliata delle pene inflitte ai dannati e il dialogo con Pier della Vigna evidenziano la sensibilità del poeta di fronte alla sofferenza altrui. (Carlo Silvano)
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venerdì 31 gennaio 2025

Papa Benedetto XVI, Verità e amore

 


Nel suo volume intitolato “Verità e amore”, a pagina 31, papa Benedetto XVI scrive:
 
Il Vangelo di Marco (1,29-31) riporta un episodio molto simpatico, molto bello ma anche pieno di significato. Il Signore si reca alla casa di Simon Pietro ed Andrea e trova ammalata con febbre la suocera di Pietro; la prende per mano, la solleva e la donna è guarita e si mette a servire. In questo episodio appare simbolicamente tutta la missione di Gesù. Gesù venendo dal Padre si reca nella casa dell'umanità, sulla nostra terra e trova un'umanità ammalata, ammalata di febbre, di quella febbre che sono le ideologie, le idolatrie, la dimenticanza di Dio”.
 
A mio avviso, l’episodio evangelico della guarigione della suocera di Pietro (Marco 1,29-31) viene interpretato, da papa Benedetto XVI, con una profondità teologica che rivela la straordinaria spiritualità e cultura del Pontefice. Egli vede in questo semplice racconto un simbolo dell’intera missione di Gesù: Cristo entra nella “casa dell'umanità” trovandola malata, afflitta da “febbre” intesa come ideologie, idolatrie e dimenticanza di Dio.
 
Questa lettura allegorica dimostra la capacità di Benedetto XVI di collegare le Scritture alla condizione umana contemporanea. La “febbre” rappresenta le distorsioni spirituali e morali che allontanano l’uomo dalla verità divina. Gesù, prendendo per mano la suocera di Pietro e risollevandola, simboleggia l’azione salvifica che libera l’umanità dalle sue infermità spirituali, restituendole la capacità di servire e amare.
 
Questo approccio riflette la profonda convinzione di Benedetto XVI sull’importanza di unire verità e amore nella vita cristiana. Nel suo magistero, ha spesso sottolineato che il vero senso della vita risiede nella ricerca della verità e nel dono di sé attraverso l’amore. Per raggiungere questa meta, è essenziale affermare il primato di Dio nella propria esistenza.
 
Da osservare che la scelta stessa del nome “Benedetto” da parte di Joseph Ratzinger, al momento della sua elezione al pontificato, riflette una profonda connessione con la spiritualità monastica e con san Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. Questo legame evidenzia il suo desiderio di promuovere una sintesi tra fede e cultura, tradizione e modernità, elementi che hanno caratterizzato il suo pensiero teologico.
 
Inoltre, Benedetto XVI, durante il suo pontificato,ha affrontato con lucidità le sfide del relativismo nella società contemporanea, ribadendo la necessità di ancorare la pastorale ecclesiale alla verità del Vangelo. Ha evidenziato come il relativismo possa minare le fondamenta della fede, sottolineando l’importanza di una testimonianza cristiana autentica e coerente.
 
In sintesi, attraverso la sua esegesi del Vangelo e il suo magistero, papa Benedetto XVI ha dimostrato una profonda spiritualità e una vasta cultura, offrendo alla Chiesa e al mondo una visione teologica che unisce verità e amore, fede e ragione, tradizione e attualità. (Carlo Silvano)
 

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